Esilio, fuga e naufragio

 
Tre guerriglieri in barca
Il 30 agosto 2011 il 'Silver Cloud', un veliero di 10 metri, va alla deriva per un'avaria meccanica e si incaglia davanti alla costa venezuelana di Los Roques.

Le autorità locali giunte in soccorso, dopo aver scoperto che tre dei naufraghi sono dei baschi, militanti dell'ETA politico-militare (ETA-pm), li arrestano.

Questa la prima versione dei fatti diffusa dai media; si capirà in seguito che i guardacoste avevano intercettato il Silver Cloud, partito un mese prima da Cuba, e che i servizi di sicurezza spagnoli erano al corrente della fuga. La ministra degli esteri spagnola, Trinidad Jiménez, sottolineerà la cooperazione tra Madrid e l'Avana nel controllo dei membri dell'ETA a Cuba.

Perché i tre baschi, Elena Barcena Argüelles, Francisco Javier Pérez Lekue e José Ignacio Etxarte Urbieta, erano in esilio a Cuba, ed avevano deciso di abbandonare l'isola che li ospitava da oltre 20 anni. Isola che due di loro, Elena Barcena e Ignacio Extarte, avevano raggiunto dopo una picaresca fuga per mare cominciata a Capo Verde il 20 giugno 1987 e durata circa quattro mesi, nel corso della quale gliene successero di tutti i colori: andarono sul serio alla deriva, rimasero senza gas per cucinare perché s'eran fatti truffare comprando bombole vuote, rischiarono di essere speronati da una nave passeggeri, rimasero 15 giorni senza cibo, finendo per essere ospedalizzati una volta sbarcati all'Avana. Nell'arcipelago africano (Cabo Verde è nell'Atlantico davanti al Senegal) erano stati deportati due anni prima, e avevano cercato migliori condizioni d'esilio fuggendo quella prima volta per mare verso la patria della rivoluzione caraibica.
Le autorità cubane però, nei molti anni trascorsi da allora, non erano riuscite a regolarizzarli, malgrado le richieste. Dopo aver scritto, inutilmente, al Partito Comunista Cubano (PCC), nel febbraio 2011 si decisero a diffondere una lettera aperta, indirizzata al popolo basco, con la quale rendevano pubblica la loro situazione.

La lettera non ricevette attenzione, e fu pubblicata solo in maggio dal quotidiano spagnolo el Paìs, accompagnato da un articolo che si rallegrava di come "la luna di miele tra castrismo ed ETA-Batasuna" fosse giunta al tramonto.

Nella lettera, ricordano di essere giunti a Cuba come rifugiati politici oltre vent'anni prima, e di essere stati accolti con la garanzia che sarebbero stati trattati come i militanti baschi deportati da Panama nel 1984. E cioè che avrebbero potuto abbandonare il paese in qualsiasi momento, la sola clausola esplicita essendo 'chi se ne va, non torna qui'.

Raccontano come nei primi anni la cosa funzionò per chi voleva partire, e che però gli ostacoli aumentarono col tempo, fino a trasformarsi in una proibizione, prima di fatto, poi affermata apertamente. "Con questo atteggiamento Cuba si è trasformata da paese di accoglienza a carcere, almeno per quelli che desiderano abbandonarla"; parole forti, ribadite nelle conclusioni:
"Per tutto questo:
-Vogliamo rendere pubblico il nostro rifiuto dell'attitudine delle autorità di questo paese, che ci condanna di fatto all'ergastolo, per giunta in un quadro di incertezza giuridica assoluta.
-Esigiamo il rispetto degli accordi del 1984, accettati da entrambe le parti al momento del nostro arrivo sull'isola, e derogati in modo unilaterale, senza nemmeno informarci."

Il testo originale è qui sotto (cliccare per estendere il testo):
Carta de protesta de refugiados etarras en Cuba, 8.2.11 [+/-]
Ciudad de La Habana, 8 de febrero de 2011

Al pueblo de Euskal Herria:
Somos dos refugiados políticos vascos que llegamos a Cuba hace ya más de veinte años; aunque llegamos en momentos diferentes, en ambos casos las autoridades de este país nos informaron de que aceptaban nuestra estancia en las mismas condiciones que las acordadas con los primeros deportados procedentes de Panamá en el año 1984. Dentro de esos acuerdos quedaba claro que podíamos abandonar el país cuando deseáramos, eso sí, con la cláusula explícita de que el que se iba no volvía.

Si bien durante los primeros años Cuba cumplió lo acordado y de hecho varios refugiados fueron abandonando el país, cada vez fueron poniendo más trabas a las salidas, hasta que llegó el momento en que las prohibieron, primero en la práctica y más tarde diciéndolo abiertamente. Con esa actitud han pasado de ser un país de acogida a carceleros, al menos para aquellos que deseamos abandonar esta isla.

La única opción que han dejado abierta es acudir a la embajada española y confiar en que allí se dignen a conceder un pasaporte, modo de salida que no tiene nada que ver con los acuerdos que en su día aceptamos las dos partes y que además en nuestro caso se vuelve imposible por no habernos concedido a uno de nosotros papeles a nuestro nombre, obligándolo a permanecer completamente indocumentado, al negarse a vivir con documentación falsa.

Por todo ello:
-Queremos hacer público nuestro rechazo hacia la actitud de las autoridades de este país, que nos condena de facto a cadena perpetua, en un marco además de absoluta inseguridad jurídica.
-Exigimos el cumplimiento de los acuerdos de 1984, aceptados por ambas partes a nuestra llegada a la isla y derogados unilateralmente y sin siquiera informarnos en su momento de ello.

Elena Bárcena Argüelles
Javier Pérez Lekue

Armati di carta e penna
La sola risposta pubblica, pur senza grande diffusione, venne pochi giorni dopo dal 'Collettivo dei rifugiati baschi a Cuba', con un comunicato pubblicato su cubainformacion.tv

Il testo ricorda che gli accordi sottoscritti dai governi di Francia, Spagna, Panama e Cuba nel 1984 prevedevano che i militanti baschi potessero accedere all'asilo cubano volontariamente, con una domanda scritta, e che dovevano venire muniti di un passaporto legale; gli esuli baschi sarebbero potuti restare tutto il tempo che desideravano, impegnandosi a non realizzare attività politico-militari contro la Spagna o altri paesi, ed a rispettare le leggi cubane.
I passaporti, ricorda, erano quelli emessi dall'ONU (in base alla Convenzione di Ginevra del 1951) e spediti a Panama, e dicevano: "non autorizzato a entrare a Panama e in Spagna". Per il rinnovo, i passaporti venivano inviati a Panama via Costa Rica, fino a che la 'invasione yankee' del 1989 non rese la cosa impossibile. E qui c'è una singolare precisazione: "Negli accordi del 1984 non c'era alcun impegno cubano su 'uscite operative'; non ci fu con noi in nessun momento alcun accordo su temi clandestini". È un fatto che di uscite e passaporti 'operativi' non v'è cenno nella lettera aperta, mentre è esplicita l'allusione dell'articolo del Paìs, che parla del rifiuto dei cubani di dare dei "documenti falsi operativi che permettono di andare in Francia o altrove".

Qui il testo originale (cliccare per estendere il testo):
Comunicado del 17 de mayo de 2011 del colectivo de refugiados vascos en Cuba [+/-]
A los pueblos de Cuba y Euskal Herria

La presente comunicación viene obligada por las informaciones y acusaciones vertidas contra Cuba en carta abierta del 8 de febrero por Elena Barcena y Javier Pérez a través de la prensa sensacionalista de España (El País 15-05-11).

1.- Los acuerdos suscritos entre el gobierno de Francia, España, Panamá y Cuba que en 1984 condujeron a la llegada voluntaria de los primeros deportados Vascos a cuba desde Panamá fueron:
a) Acogerse al asilo cubano de manera voluntaria, con carta de petición, y por espacio mínimo de seis meses.
b) Para entrar en cuba debíamos portar un pasaporte legal-oficial, que nos permitiera viajar en ese momento y posteriormente, si deseábamos partir de Cuba a otro país. El pasaporte nos fue expedido por la ONU en panamá según convenio de Ginebra de 1951. El pasaporte dice “No esta autorizado para regresar a Panamá y a España.”
c) Podíamos permanecer en cuba el tiempo que deseáramos, trabajando, estudiando, con entera libertad y podíamos irnos del país cuando quisiéramos, de ahí la exigencia cubana del documento de viaje legal para entrar en Cuba. Si salíamos del país no podíamos retornar por razones obvias.
d) Nos comprometemos a no realizar actividades político-militares contra España ni otro país, desde cuba y a ser respetuosos con las leyes cubanas.

2.- El pasaporte de la ONU, se enviaba vía Costa Rica a renovar a Panamá, hasta que la invasión yankee de 1989 lo dificulto y no se pudo renovar posteriormente.
En los acuerdos de 1984, no existió ningún compromiso cubano sobre “salidas operativas”; no hubo en ningún momento ningún compromiso sobre temas clandestinos con nosotros.

3.- Las autoridades cubanas nos han tratado durante estos 27 años, tanto a nosotros como a familiares y amigos con todo respeto. En ningún otro lugar del mundo ha tenido el refugiado político vasco el respeto y la consideración que ha tenido en este país, tanto por las autoridades como por parte del pueblo cubano.

Esto hizo, que por razones humanitarias, razones de tipo medico o consideraciones de vidas en peligro, y siempre de manera voluntaria, Cuba acogiera en los años 80 a algunos deportados más entre los que se encuentran los dos firmantes de la intoxicadora y tendenciosa carta que J.L.B. filtro al diario el País de España.
Durante casi tres décadas los deportados políticos vascos, hemos podido rehacer nuestras vidas y nunca hemos roto con el espíritu de aquellos acuerdos.
Hemos sido respetuosos con los principios y las leyes de la revolución Cubana, cuidando mucho y respetando las normas internacionales que el estado cubano debe mantener.
La revolución Cubana, ha demostrado siempre compresión solidaria internacionalista con todos los pueblos que, como el nuestro, trabajan y luchan por la libertad en un mundo mejor.

COLECTIVO DE REFUGIADOS VASCOS EN CUBA (17-05-11).

Poi la partenza in segreto, e l'arrivo in Venezuela, direttamente in prigione.
Rapidamente, i tre baschi vengono riconsegnati dai venezuelani alle autorità cubane, il 5 settembre. Dicono che non è una deportazione, si trattava di un 'ingresso illegale' (toh?) e sono stati respinti.
E qui, l'intervento del collettivo dei rifugiati baschi in Venezuela, che emette un suo comunicato già il 4 settembre.

Cosa dice? poco o niente, poiché disdegnano di entrare nel merito dell'incidente affermando che la posizione dell'insieme dei rifugiati e deportati baschi risulta abbastanza chiaramente dal comunicato del collettivo degli etarras a Cuba (quello di maggio, riportato sopra).
A che pro allora un comunicato? Perché "vogliamo", affermano, "mostrare il nostro profondo rispetto verso i governi rivoluzionari di Cuba e Venezuela". Mostrando cioè di non voler aver niente a che fare con gli esuli che hanno osato protestare.

Qui l'originale (cliccare per estendere il testo):
Comunicado del colectivo de refugiad@s y deportad@s polític@s vasc@s en Venezuela [+/-]
Venezuelako euskal errefuxiatu eta deportatuen kolektiboaren adierazpena:

Desde hace aproximadamente dos años las campañas mediáticas lanzadas por los medios de comunicación españoles contra Venezuela se han convertido ya en rutina y así en los últimos meses publicaciones aparecidas en El Mundo o Interviú han sido las encargadas de mantener la llama de la basura mediática española.

De igual manera ha sido notable el incremento de policías españoles en labores de seguimiento a ciudadanos vascos, en algunas ocasiones acompañados de "supuestos" policías venezolanos, lo que nos hace pensar que estas campañas lejos de ser un acto atribuible a unos medios de comunicación determinados, forma parte de una doble estrategia del gobierno español: Por un lado sumarse a la campaña de la derecha mediática contra Venezuela y por otro tratar de amilanar a los refugiados vascos en Venezuela y a su entorno de familiares y amigos. No lograran ni lo uno ni lo otro.

En los últimos días y a raíz de un incidente en el que se vieron involucrados tres ciudadanos vascos que residían en Cuba, diversos medios españoles intentaron, desde sus columnas y artículos relanzar esta campaña, intentando una vez más de la manera más burda y sucia, manipular y sacar “tajada mediática” de un lamentable incidente que tuvo como desenlace las costas venezolanas.
Sobre el incidente en si no vamos a caer en el juego de la canalla política y mediática española, la posición del conjunto de refugiados y deportados vascos queda suficientemente clara en el comunicado realizado el pasado mes de mayo por el Colectivo de Refugiados Políticos Vascos en Cuba dirigido a los pueblos de Cuba y Euskal Herria.

Sí queremos, desde estas líneas, mostrar nuestro profundo respeto hacia los gobiernos revolucionarios de Cuba y Venezuela y nuestra solidaridad y admiración hacia ambos pueblos, ejemplos claros de resistencia y dignidad.

Pakito Arriaran, militante revolucionario vasco que vivió en Venezuela y falleció asesinado en las selvas de el Salvador mientras combatía junto al FMLN manifestó en una de sus últimas cartas, al igual que el Che, “Tengo dos pueblos para amar y un mundo por el que luchar”, hoy desde el centro de la América revolucionaria nosotros podemos decir con toda claridad y firmeza: Tenemos tres pueblos para amar y por los que luchar: Venezuela, Cuba y Euskal Herria.
¡VIVA LA SOLIDARIDAD INTERNACIONALISTA DE LOS PUEBLOS!
JO TA KE INDEPENDENTZIA ETA SOZIALISMOA LORTU ARTE!!

República Bolivariana de Venezuela, 04 Septiembre 2011

A questo vuoto comunicato almeno una reazione c'è stata: su el Diario Internacional (ripreso da Euskal Herria sozialista) Luis Arces Borja ricorda che il giudice spagnolo Velasco considera i naufraghi come gli elementi di collegamento tra l'ETA e le FARC colombiane, ed elenca i numerosi e diversi casi in cui il governo Chavez ha consegnato militanti della sinistra, armata e non, alla polizia segreta colombiana.

L'ultimo, in aprile, quello del giornalista Joaquín Pérez Becerra, che viveva in Svezia ed era direttore dell'Agencia de Noticias Nueva Colombia (ANNCOL), arrestato e offerto agli sbirri colombiani, caso aveva sollevato un certo scandalo e fatto perdere parecchie simpatie internazionali a Chavez.
In un tale contesto, scrive Borja, "risulta ridicolo e convenzionale che il 'collettivo dei rifugiati politici baschi in Venezuela' invece di difendere i baschi arrestati si genufletta ai piedi del governo venezuelano." "Il comunicato pubblicato su diversi media (…) è contrario alla più elementare solidarietà internazionalista".

Sul 'naufragio' dei baschi, a parte qualche beffeggio del tipo 'neanche più i terroristi sopportano il regime di Castro', non v'è stata grande eco di stampa.
L'unico articolo apparso come editoriale era uscito ben prima su El Nuevo Herald, giornale conservatore di Miami (USA) che nell'edizione del 31.5.2011, dopo la pubblicazione della lettera degli etarras (e prima della loro fuga), aveva pubblicato un commento ("ETA, hasta Cuba se desmarca") in cui, richiamando l'esito elettorale ottenuto nelle municipali spagnole dalla sinistra abertzale e dei suoi alleati della 'Bildu' che indicherebbe una vittoria, nella base politica dell'ETA, della opzione 'democratica', si afferma che l'organizzazione separatista basca sarebbe ormai isolata e sconfitta e che dovrebbe dichiarare la propria dissoluzione e ritirata definitiva.

L'autore sostiene che 'non è un caso' in quel contesto di isolamento e sconfitta, che il governo di Raul Castro, "mostrando realismo politico", abbia "tagliato l'appoggio operativo che permetteva ai militanti della banda, rifugiatisi a Cuba, di spostarsi fino in Spagna, Francia o altri paesi."

Una bizzarra interpretazione, che non sembra basata sui fatti: che i rifugiati rivendicassero pubblicamente dei documenti operativi (falsi, per passare all'azione) non solo non risulta, ma appare anche decisamente improbabile, dopo 22 o addirittura 27 anni di esilio!
Del resto, da una lettura attenta del comunicato del collettivo rifugiati baschi a Cuba (quelli che rispondono alla lettera dei loro compagni qualificandola di "intoxicadora y tendenziosa") traspare chiaramente che dagli anni '90 in poi i baschi sull'isola non abbiano più ricevuto documenti in ordine (quasi non vi fossero altre vie che Costa-Rica/Panama per i passaporti dell'ONU).

Senza dire che lo stesso comunicato ricorda che si sono impegnati a non svolgere azioni politico-militari contro la Spagna o altri paesi. (O ancora, si potrebbe segnalare il dispaccio, un formulario standard sulla sicurezza rispetto a manifestazioni e terrorismo, indirizzato dai rappresentanti diplomatici USA a CIA ed FBI e intercettato da Wikileaks che fa stato della presenza di membri dell'ETA a Cuba, affermando l'improbabilità che possano svolgere attività operative.)

Padre eroe, figlio pentito
La spiegazione si trova nella storia dell'autore del commento, Jorge Masetti. Questi è il figlio di Jorge Ricardo Masetti, una figura molto conosciuta a Cuba e non solo. Giornalista argentino, andò a Cuba, nella Sierra Maestra, ad intervistare Fidel Castro quando questi con i suoi barbudos aveva cominciato la guerriglia. Una volta cacciato il dittatore Batista, rimase all'Avana, e fondò la prestigiosa agenzia di stampa Prensa Latina.
Fu poi probabilmente uno dei primi a viaggiare nella nuova Algeria indipendente di Ahmed Ben Bella e Houari Boumedienne, che gli offrirono sostegno al suo progetto di 'fuoco guerrigliero' in Argentina.

Ha 34 anni quando penetra in Argentina, nel settembre 1963, al comando dell'Ejército Guerrillero del Pueblo (EGP) installando il campo della sua trentina di uomini nella regione di Salta, e cominciando i preparativi all'azione. Ma già nell'aprile 1964 è la disfatta, e da allora le notizie del 'comandante Segundo' (il suo nome di battaglia, il comandante primero era Ernesto Che Guevara) sono scomparse col suo corpo, nella selva di Salta.

Jorge Masetti, suo figlio omonimo, che all'epoca aveva nove anni, visse a Cuba, con gli onori dovuti all'orfano di un eroe. Più tardi, nei primi anni '70, andrà in Argentina unendosi al PRT-ERP (Partido Revolucionario de los Trabajadores-Ejército Revolucionario del Pueblo, allora legato alla 4a Internazionale), e ritornerà presto a L'Avana per essere addestrato ed inquadrato dai servizi speciali. Poi raggiungerà la maggior parte dei militanti superstiti, in esilio in Europa.
Un esilio che considerava un ripiegamento tattico, per rientrare a combattere (si diceva 'soldato in transito' quando era in Italia), e dove invece avanzava una discussione politica sull'abbandono dell'azione armata come principale forma di lotta, che portò alla scissione.
Jorge Masetti figlio, propose al suo gruppo di "far fuori Luis Mattini per farla finita con la sua influenza riformista" -così lo ricorda il diretto interessato, che fu l'ultimo segretario del PRT-ERP.
Nessuno dei due gruppi rientrò in Argentina, Masetti si unì a quelli che andarono a combattere con i sandinisti in Nicaragua. Forse lì mise in pratica i metodi omicidi per risolvere i contrasti politici, fatto sta che strinse rapporti in particolare con Tony de la Guardia, colonnello del Minint cubano (il Ministero degli interni, non delle Forze armate), per il quale agì in diversi paesi; rientrato a Cuba, ne sposò la figlia Ileana, continuando la sua attività ben inserito nella nomenklatura del paese, fino a che Tony de la Guardia, suo fratello gemello Patricio ed il generale Ochoa (celebre comandante delle truppe cubane in Angola) non vennero arrestati e processati per traffico di droga.
Il processo sommario si concluse con la condanna a morte e l'esecuzione di Ochoa e di Tony de la Guardia, motivo che spinse Jorge Masetti figlio ad espatriare con la moglie, dopo aver atteso il momento opportuno. E fuori, passò dall'altra parte, con il ricco capitale di informazioni che aveva accumulato.

Conoscendo questo profilo, si può capire come certe affermazioni nel suo articolo riflettano una prospettiva che in fin dei conti non è cambiata con la defezione dell'agente cubano: il passare dall'altra parte ha invertito solo gli avversari.

Nella sua carriera, Masetti figlio non ha conosciuto la la tortura, gli anni di galera e di esilio, e la sua motivazione era piuttosto l'estetica dell'azione, com'egli stesso dice. Non ha la minima idea di cosa possa significare per un rifugiato il vivere senza documenti per decenni, in una condizione di perenne incertezza, di come l'essere ridotti ad una non-persona possa provocare crisi profonde e financo esiti drammatici come il suicidio.

Nel commento sulla lettera di protesta dei baschi, sostiene che essi chiedevano "documenti falsi, forniti fino a poco fa dal governo cubano, per poter continuare le loro azioni delittuose senza essere reperiti dalle autorità in Europa". La protesta dei baschi era invece precisamente orientata al fatto di non aver ottenuto documenti "col nostro nome", quindi tutt'altro che falsi per operare in clandestinità, in particolare per uno di loro (che ovviamente non è indicato per nome) che si è visto così obbligato a vivere "completamente senza documenti, rifiutandosi egli di ricorrere a documenti falsi".

Masetti figlio spera che questa sia "la fine dell'amalgama, fatto dal castrismo, fra terrorismo e movimenti di liberazione nazionale. Includere l'ETA tra questi ultimi è servito solo a squalificarli." Chissà in quale categoria metterebbe le organizzazioni di lotta armata con cui egli ha operativamente collaborato, a cominciare dal PRT-ERP in Argentina e dal Fronte sandinista in Nicaragua? Ma in fondo questo non ha alcuna importanza, il punto è che ogni definizione di terrorismo corrisponde ad un interesse preciso (terroristi, sono sempre gli altri), e quella cui allude Masetti figlio è la classificazione degli Stati Uniti, che conducono una campagna contro Cuba come paese ospite di terroristi proprio per la presenza dei rifugiati baschi.

L'ex agente segreto cubano ama pensarsi e presentarsi come 'libertario', perlomeno in certi contesti (non quando scrive per il Miami Herald), e gli è così accaduto di farsi sputazzare da una parte consistente di militanti (molti latinoamericani) della Centrale Anarcosindacalista Svedese (SAC) nel 2004. Che qualche buona ragione potessero averla in memoria, lo si può facilmente intuire. Si veda in proposito questo articolo su Kaosenlared.net che, al di là della foga con cui, nella peggiore tradizione della sinistra, si può dare dell'agente della CIA quasi a chiunque, offre un corposo rimando a fonti.

Scriveva infine Masetti figlio che gli etarras non avevano che da andare all'ambasciata spagnola a Cuba, le loro condanne essendo in prescrizione. Eppure, il 15 settembre si legge su El Nacional: "La Spagna chiede a Cuba l'estradizione di José Ignacio Etxarte Urbieta", il terzo dei guerriglieri naufraghi. Via ambasciata spagnola, ovviamente.

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