
Luglio 1969. Già dalle prime ore del pomeriggio, malgrado la canicola, le strade di Alger la blanche si riempiono di folla. Ogni giorno, e sino all’alba, gli abitanti della capitale le percorrono in tutti i sensi, in un clima di eccitazione ed allegria fuori dal comune. Tra Bab-el-Oued, il quartiere ai piedi della Casbah, e i caffè della Rue Larbi Ben M'Hidi, fino agli stadi e all’ippodromo, famiglie e schiere di marmocchi incontrano l’Africa. Cantano e danzano con artisti e gruppi arrivati dai paesi sahariani, da tutta l’Africa, dal vicino Oriente ma anche dall’Europa e dagli Stati Uniti. Ci sono teatranti, poeti, musicisti, cantanti, danzatori-guerrieri, griots che si avvicendano e più spesso si mischiano sui numerosi palchi montati in tutte le piazze principali, dalla place des Trois Horloges, alla Grande Poste, fino alla piazza del Primo maggio. Gli algerini scoprono, con la loro appartenenza al continente, le loro proprie culture, a cominciare dalla sfilata inaugurale dei cavalieri mozabiti sulla piazza Audin (nella foto di Guy Le Querrec, della storica agenzia Magnum, al suo primo reportage africano). Le ragazze della capitale “belle come dei gabbiani bianchi, coi loro haik e le velette di pizzo” scoprono il jazz portato dai musicisti afroamericani, come Leroy Jones o Nina Simone (in concerto, foto LeQuerrec/Magnum). O Archie Shepp, che scopre la musica tuareg e suona con gli ‘uomini


Il diluvio umano che sommerge la città è impregnato di fervore e d’euforia, eppure estremamente autodisciplinato, racconta Boudjedra, che paragona il clima del festival alla festa dell’indipendenza del 5 luglio 1962.
Un film introvabile
Lo spirito di quelle giornate straordinarie è raccolto da una troupe che annovera tecnici algerini ed è guidata da William Klein. Klein, fotografo, artista grafico e cineasta, ha girato tra l’altro Loin du V

Ad immagine del Panaf’ (abbreviazione con cui il festival viene spesso ricordato), che si impernia sull’ineludibile rapporto tra arte ed impegno politico, il film di Klein fa saltare i confini tra lotta armata, battaglie sociali e cultura dei colonizzati, che si ritrovano così diversi nelle loro espressioni e così uguali di fronte ai loro oppressori. La pellicola è piuttosto rara e spesso dimenticata (non figura in molte filmografie di Klein come quella di IMDB, c’è invece in quella della cinemateca francese) ma copie in buone condizioni sopravvivono ancora in alcune cineteche.
Ritorno al futuro
Algeri, luglio 2009: torna il Panaf! Dopo quarant’anni, il Festival culturel panafricain riapparirà ad Algeri. L’annuncio di un secondo festival è già una sfida a

Un secondo festival che arriva dopo quaranta anni è qualcosa di più di un seguito che fa il bilancio (e la critica necessaria) del primo evento. E non solo perché al giorno d’oggi ogni città di provincia ha i suoi festival (e son tutti internazionali) e li ‘mette sul mercato’. O perché dopo 40 anni il confronto è impossibile, se non fa i conti con tutto quel che è successo, in Algeria come in Africa. È che quel festival fu, o si trasformò in, un evento di enorme portata simbolica e politica che è stato accantonato se non gettato nella pattumiera della storia. Materializzava l’affermazione di un nuovo mondo possibile, contrapposto a quello occidentale, del potere imperiale e coloniale ancora impregnato di fascismo e nazismo. Lo materializzava riunendo gli oppressi che affermavano di avere cultura e memoria proprie, che rivendicavano la propria identità come incompatibile col sistema capitalista, e che per questo erano pronti a dare la vita lottando con ogni mezzo. Il Panaf’ 69 incarna, narrandone la gioia creativa, la speranza come realtà a portata di mano. L’Algeria è uscita vittoriosa dalla guerra di liberazione, il cui aspetto più spettacolare fu l’esperienza di guerriglia urbana ad Algeri e quello più dannato dalla memoria il massacro di manifestanti algerini il 17 ottobre 1961 a Parigi , ma che nell’insieme del paese fece un milione di morti, un’intera generazione sterminata in nome del dominio coloniale. La memoria di questa sofferenza permette agli algerini di riconoscere la sofferenza di altri popoli come propria, di sostenerli, di motivarne la speranza di vittoria e anche di fare la festa con loro. Senz’altro l’organizzazione del Panaf’ 2009 si deve confrontare con ‘ciò che resta’ dello spirito del primo evento.
Ma proprio quello spirito, l’identificarsi per inclusione, ha avuto un effetto anche sui giovani dell’Europa post bellica, che erano incapaci di riconoscersi nel modello di vita imposto dal ‘sistema’ e avevano espresso ciò che pensavano dell’autorità con le rivolte del 1968. Se un mondo radicalmente nuovo è possibile, allora è giusto e doveroso lottare per ottenerlo. La forma di lotta rivoluzionaria privilegiata si appoggiava sulle armi, nei modi della guerra di guerriglia e poi della guerriglia urbana, con costituzione di eserciti di liberazione o di unità clandestine. L’idea che nel cuore della Metropoli si potesse fare lo stesso, prendere le armi contro un potere ed una sociétà ancora profondamente intrisi di fascismo e razzismo, è senz’altro transitata dal porto di Algeri.
L’occasione di riflessione offerta dal prossimo Panaf’ 2009 riguarda, oltre la drammatica storia algerina ed africana degli ultimi quattro decenni, la memoria delle influenze culturali e politiche ‘algerine’ sullo sviluppo della lotta armata nel mondo occidentale.
1- continua
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