Bologna, la pista palestinese fa tappa in Bolivia?

In un articolo del’8 agosto 2020, il quotidiano Il Dubbio presenta quella che definisce ‘una testimonianza’ di Giovanni Arcuri.
Il pezzo non ha suscitato interesse, malgrado -o forse proprio perché- affermasse cose sorprendenti: per dirne una, che il gruppo di Carlos (Ilich Ramirez Sanchez, terrorista venezuelano all’ergastolo in Francia) avesse rapporti con i neonazisti. Il sogno democristiano degli opposti estremismi che si toccano, infine confermato?
Qui proponiamo un fact-checking dell’articolo, che dovreste leggere prima, e qualche considerazione che ne deriva.

Il ‘testimone’
Nell’introduzione, l’autore ricorda che per la strage di Bologna ci sono quattro condanne di membri dei NAR (gruppo neofascista italiano della seconda metà degli anni ’70), che però hanno avuto il sostegno di ‘diversi intellettuali di sinistra’ che ne mettono in dubbio la colpevolezza.
Di seguito, ricorda che per la strage di Bologna “non mancano indizi verso la pista palestinese. In esclusiva diamo spazio a una testimonianza che potrebbe corroborare quest’ipotesi” e introduce il testimone.
Giovanni Arcuri è romano, è stato ‘diversi anni’ in carcere, pena finita nel 2016, conosciuto come attore in un film premiato dei fratelli Taviani, e autore di libri scritti in galera. “Oggi è libero, anche se si è ritrovato nel 2016 accusato nuovamente di traffico di stupefacenti.” Insomma recidivo poco dopo essere scarcerato, ma egli precisa di essere stato assolto in primo grado, “mi hanno solo mantenuto il delitto tentato”, che tradotto significa che il traffico di droga era stato fermato prima che avvenisse.


Ma, dice il giornalista “Va ribadito che parliamo di un passato che non appartiene più a Giovanni Arcuri.” Senz’altro vale la presunzione di innocenza anche per lui, un po’ meno le garanzie del giornalista. Che aveva appena ricordato che l’Arcuri “ebbe un ruolo nell’operazione Watch Tower, opera della Cia inerente al traffico di armi e stupefacenti, il cui scopo era quello di finanziare progetti della lotta anticomunista nei paesi dell’America Latina.”

L’Operazione Watchtower
Il giornalista si trova di fronte ad un potenziale testimone diretto di un’operazione clandestina, che rimonta al 1975-76, della quale si sa ancora oggi assai poco, e il cui cover-up farebbe rabbrividire il più assatanato dei complottisti, e… niente, non se ne cura. L’Operazione Watchtower, che consisteva nell’installazione da parte delle forze speciali statunitensi, e su direzione della CIA, di un sistema di trasmettitori che da Bogotà, capitale della Colombia, fino a Panama creava una rotta coperta dalle intercettazioni lungo la quale gli aerei illegali potevano viaggiare contrabbandando così in tranquillità i loro carichi di cocaina. L’operazione si ripeté almeno tre volte, per 3 o 4 settimane alla volta. Nelle ultime due passarono 30 e poi 40 aerei carichi -un traffico che si misura in decine o centinaia di tonnellate di cocaina pura- accolti all’arrivo a Panama da un ufficiale panamense e da un colonnello del Mossad israeliano, Michael Harari (noto per le disgraziate imprese di Lillehammer ed Entebbe, tra l’altro).
Quel che si conosce di Watchtower è dovuto soprattutto alle dichiarazioni del colonnello Edward P. Cutolo, che aveva diretto le ultime due missioni e che le raccontò in un affidavit (dichiarazione giurata a futura memoria) nel 1980, e venne ucciso un mese dopo.
Lo scopo dell’operazione, ricorda il giornalista “era quello di finanziare progetti della lotta anticomunista nei paesi dell’America Latina”. Propaganda, campagne di stampa, corruzione di politici al potere? No; tradotto, significa che venivano finanziati quegli squadroni della morte, torturatori, assassini, sistemi per far ‘scomparire’ i detenuti, che devastarono di lutti l’America latina per due decenni.

Lo schema era noto per essere già stato applicato con l’eroina importata dal Laos, e venne, proprio a seguito della Watchtower, ripreso ed ampliato dal colonnello Noriega, il cui primo socio fu subito Harari.
Dunque la CIA, mettendosi al soldo dei narcotrafficanti, poteva permettersi di continuare ed ampliare le operazioni speciali clandestine, ben oltre la compensazione di posti soppressi dall’amministrazione statunitense, e in barba alle proibizioni del Congresso.
I narcos, facevano il loro lavoro alla grande, si erano letteralmente comprati i militari americani e la CIA, ciò che garantiva loro ancor più discrezione e protezione.
Giuseppe Arcuri ha “avuto un ruolo” in tutto questo. Quale?

In casa Suarez
Egli stava dalla parte dei narcos colombiani, si può supporre. Perché la storia che racconta comincia in Bolivia, dove lui si trovava “perché avevo una relazione con la figlia di Roberto Suarez ed ero in contatto con personaggi che volevano mantenere lo status quo in Bolivia, che favoriva gli interessi degli Stati Uniti nell’area.”
La parte sui ‘personaggi per lo status quo’ è fin troppo criptica per delle deduzioni, permettendo molte speculazioni. Quanto alla relazione con figlia di Suarez, Heidy, si può dedurre che non fosse segreta; ovvero che l’Arcuri frequentasse casa sua e conoscesse il padre.
Roberto Suarez era effettivamente quel ‘re della cocaina’ di cui già all’epoca si parlava. Divenuto capo della sua ricca famiglia di allevatori, aveva preso in mano la lavorazione ed il commercio della pasta-base, prodotta dalla foglia di coca di cui è ricco il paese, e disponeva di una fortuna colossale.
Casa Suarez, una grande proprietà che includeva una pista privata per gli aerei (nella regione ve n’erano più di 60, e la sua sola flotta contava 28 Chessna), era ben frequentata.
Tra gli ospiti che non hanno bisogno di presentazioni, si ricorda Pablo Escobar con il suo socio Gonzalo Rodriguez Gacha, detto el Mexicano, il banchiere Roberto Calvi e il criminale di guerra nazista Klaus Barbie. Poi naturalmente moltissimi altri ancora, a cominciare da Arce Gomez, ministro dell’interno e cugino di Suarez. Si tratta di presenze fisiche sul posto, anche al momento dei fatti raccontati.
Se Arcuri stava con Heidy Suarez, questa era la gente che incrociava in casa. Ma pare che si trovasse lì a Santa Cruz de la Sierra, così, solo-per-amore, e nelle pause frequentava Fiebelkorn.


Il “faccendiere”
Joaquin Fiebelkorn, così egli lo chiama, è effettivamente Joachim Fiebelkorn, cittadino tedesco che ancora oggi usa anche il nome di Joaquin Legionario
Nato nel 1947 a Lipsia, nel 1971 diserta dall’esercito tedesco e si arruola nella Legione straniera spagnola. Tornato a Francoforte, si arricchisce sfruttando quattro prostitute; viene denunciato per porto d’armi illegali. Il suo impegno ‘politico’: con una associazione per la liberazione di Walter Reder, criminale di guerra nazista detenuto all’ergastolo in Italia quale principale responsabile della strage di Marzabotto, vicino a Bologna, dove nel 1944 nazisti e fascisti uccisero 1830 civili, tra cui centinaia di bambini. Si trasferì in Paraguay, dove lavorava, ricorda Arcuri, “per l’amministrazione del presidente Stroessner”. Con ciò è da intendersi che figurava come “consigliere” della polizia politica del dittatore paraguaiano. Si riuniva  per ‘coordinare i compiti dell’intelligence’ con alti ufficiali della Seconda Divisione delle Forze Armate, la stessa che partecipava all’Operazione Condor, presso l’Hotel Guaranì e al Dado Rojo -uno dei bordelli che Fiebelkorn frequentava. Proprio davanti a quest’ultimo sfidò, ubriaco, Adolf Meinike alla roulette russa: l’ex-SS ci lasciò la pelle, e Joaquin Legionario dovette sloggiare.
Arrivò in Bolivia con il suo gruppo e la cianfrusaglia del terzo Reich che amava tanto, per mettersi al servizio di Roberto Suarez Gomez, ‘il re della cocaina’. Non che a questi mancassero gli uomini armati, ma nel mondo dei narcos tutti provano a fregare tutti, diceva, e gli servivani maggiori affidabilità e competenze in armi. Lo squadrone si dette come nome i Fidanzati della morte, e cominciò coll’intervenire sui problemi creati dai colombiani che talvolta partivano senza pagare, risolvendo la cosa con dei bazooka piazzati sulla pista di decollo.
Venne poi mobilitato da Klaus Barbie per la preparazione del golpe che portò sanguinosamente al potere il generale Garcia Meza e e il colonnello Arce Gomez. I fidanzati si distinsero nei massacri e nelle torture, spesso ricordati con l'immagine di ambulanze da cui scendevano e nitra  vennero ufficialmente inquadrati come Gruppo Aquila.
“Fiebelkorn è stato variamente descritto come un magnaccia, un uomo di mano, un assassino e un delinquente neofascista” così scrivevano Linklater, Hilton e Ascherson nel lontano 1984. (Fiebelkorn has been variously described as pimp, strong-arm man, murderer, drugs dealer and neo-Fascist thug.)
Oggi Giovanni Arcuri e Damiano Aliprandi ce lo presentano come un “faccendiere”.

‘Faccendiere’ è “nel linguaggio giornalistico, persona che, per conto e a vantaggio di un imprenditore privato, svolge, con metodi per lo più poco leciti, attività di mediazione tra l’imprenditore e la pubblica amministrazione” 

secondo il Treccani. Si può chiamare così, al limite, uno che commercia in armi, non certo uno che le usa di mestiere. Lo stesso Fiebelkorn probabilmente si offenderebbe a sentirsi appellare così.
Questa falsità non è una svista, e il fatto che la definizione sia stata addirittura messa nel titolo del pezzo lascia supporre che il giornale abbia verificato la cosa, rendendo più credibile la citazione tra virgolette. Basti pensare alla differenza di effetto che avrebbe prodotto usando, anziché faccendiere, pappone, fanatico nazista o qualsiasi altra definizione basata sul suo reale curriculum. D’altro canto, solo guardando le sue fotografie, la cosa salta letteralmente agli occhi: sempre in uniforme -volentieri con quella delle SS- ed armato, a chi verrebbe mai in mente di definirlo un faccendiere?

‘Separat’, davvero?
Arriviamo così al centro della questione, le sue dichiarazioni e la rivelazione che dovrebbe ‘corroborare’ la pista palestinese per la strage di Bologna.
La ‘testimonianza’ di Arcuri è sostanzialmente un sentito dire: nel corso di una serata -ubriachi al bordello, si può immaginare, forse al Bavaria appena aperto da Fiebelkorn- “dove il liquore e le donnine abbondarono, mi parlò di Separat e di Carlos”.
Proprio così: Fiebelkorn che nel 1980 racconta di “Separat”. Ora, questo non era, né fu mai, il nome del gruppo di Carlos. La banda che mise su dopo essere stato espulso dal FPLP non aveva un nome, non produsse un solo documento politico o programmatico, quando qualsiasi altro gruppo armato dell’epoca ne produceva a iosa, e finì per improvvisare il nome ORI -Organizzazione Rivoluzionari Internazionali- per poter firmare una rivendicazione. In un’altra occasione, usò la sigla Organizzazione della lotta armata araba.


Separat è invece il nome del dossier, un Operativvorgang prodotto dall’Hauptabteilung XXII della StaSi su Carlos e il suo gruppo, che neppure lo stesso Carlos conosceva. La rivelazione pubblica di questo nome è avvenuta ben dopo il crollo del Muro di Berlino.
Come poteva Fiebelkorn conoscere questo nome nel 1980? Impossibile, salvo forse avere un contatto diretto con la StaSi, e presumibilmente non dei minori.
Non che la StaSi non avesse contatti con neonazisti della Germania occidentale. Aveva numerosi infiltrati (una sessantina) nei gruppi neonazi dell’ovest, poiché era specialmente interessata a che non solidificassero rapporti con quelli nascenti dell’est. Ed è soprattutto noto il caso di Odfried Hepp, neonazista della Repubblica Federale Tedesca che venne ospitato e riciclato nella Repubblica Democratica Tedesca proprio come avvenne con alcuni ex-militanti della RAF. Ma da lì ad immaginare che un Fiebelkorn qualsiasi, tramite il miglior contatto con la StaSi potesse venire a conoscenza del nome di un dossier riservato concernente ben altro affare, ce ne corre. Tralasciando qui il fatto che le carte della StaSi indicano Fiebelkorn come quello che doveva recarsi in Italia poco prima dell’attentato di Bologna.
Una spiegazione meno fantascientifica della sorprendente affermazione di Arcuri è che Fiebelkorn NON gli parlò di Separat, e che egli stesso gli abbia attribuito a posteriori la conoscenza di quel nome: azzerando così il valore della propria ‘testimonianza’.
Di nuovo: una testimonianza ‘de relato’ consiste nel precisare ciò che si è sentito dire da qualcuno, e se al qualcuno vengono falsamente attribuite parole o conoscenze, la testimonianza de relato, già in sé irrisoria, perde qualsivoglia credibilità.

Qui casca l’asino, bis e tris
“Ma veniamo al punto cruciale”, come scrive Damiano Aliprandi: «Fiebelkorn – prosegue Arcuri – mi disse che avrebbe dovuto incontrare il suo grande amico Thomas Kram nel mese di agosto, in Germania. Kram sarebbe arrivato dall’Italia perché aveva un importante missione da concludere».
Fiebelkorn indica nome e cognome di quello che è un perfetto sconosciuto per Arcuri ed il resto del mondo, nel mezzo di bagordi con alcol e donne, senza alcun motivo apparente.
Arcuri se lo ricorda perfettamente dopo esattamente quaranta anni.
Fiebelkorn giustifica la conoscenza degli spostamenti di Kram poiché questi è un “suo grande amico”.
Nessun elemento è dato per confermare quella grande amicizia. Tra i due profili biografici non risalta alcun punto comune.
Di quello di Fiebelkorn si è detto sopra, fino all’epoca di cui si parla qui, quello di Kram è forse un po’ più noto a chi si occupa della cosa. Thomas Kram nasce a Berlino, e lì studia pedagogia. Partecipa al movimento nato nel ’68 e per una protesta contro la guerra del Vietnam subisce il Berufsverbot, l’interdizione di lavorare. Diventa gestionario, nel 1974, della Libreria alternativa di Bochum. Viene brevemente incarcerato nel 1976 per la diffusione di scritti sovversivi. Ha un breve impiego come educatore e va a Perugia a seguire un corso d’italiano per stranieri. Nel 2009 sarà condannato a due anni con la condizionale per partecipazione all’attività delle RZ -Revolutionäre Zelle, che avevano come organizzazione sorella la Rote Zora, composta da donne- negli anni ’80.
Tra il curriculum di Fiebelkorn e quello di Kram non si trova alcun punto di contatto che potrebbe indicare una conoscenza personale tra i due. Né geograficamente, l’uno a Francoforte, l’altro a Berlino, né culturalmente, l’uno sfruttatore di prostitute, l’altro femminista, né politicamente, uno neonazista, l’altro comunista libertario. Al contrario, appare un contrasto irriducibile su ogni aspetto, che nega la sola ipotesi di una ‘grande amicizia’. Proprio un caso da manuale dove un chiarimento deve essere ineludibile. Perché la ‘grande amicizia’ raccontata da Fiebelkorn ad Arcuri è la ragione medesima che giustificherebbe la conoscenza degli spostamenti di Kram in Europa da parte di Fiebelkorn in America latina.
Un’amicizia che implica inoltre un contatto vivo, a distanza intercontinentale, in un epoca senza WhatsApp, sms e telefoni portatili. Contatto non solo per fissare un appuntamento, c’è anche l’informazione della “importante missione in Italia” che Kram avrebbe trasmesso a Fiebelkorn. Informazione che almeno in qualche misura avrebbe dovuto essere segreta, se la missione era segreta, e che quindi all’epoca non si comunicava semplicemente per telefono o per telescrivente. Non risulta che nel periodo precedente Fiebelkorn fosse stato in Europa, né che Kram si fosse recato in America latina.
La domanda è semplice, come ha fatto Fiebelkorn a sapere della ‘missione’ e a fissare un appuntamento? La risposta non c’è.

Testimonianza od opinione?
Il resto delle dichiarazioni di Arcuri sono sue opinioni, tanto che precisa -excusatio non petita: “[È il mio] punto di vista derivante non da una presa di posizione di parte ma da fonti a mio avviso attendibili di persone legate a chi potrebbe avere avuto a che fare con tutto ciò».
I fatti concreti:
-Arcuri è a Santa Cruz de la Sierra nel 1980, fidanzato con la figlia di Suarez Gomez. Affermazione sua non contestabile, tanto più che secondo altre fonti Heidy Suarez Levy,  ebbe effettivamente spasimanti e boyfriends italiani.
-Era in contatto “con personaggi che volevano mantenere lo status quo in Bolivia, che favoriva gli interessi degli Stati Uniti nell’area”. Tra questi personaggi misteriosi non si può contare né Suarez né Fiebelkorn, che preparavano un golpe proprio in quel momento (il contrario dello status quo). L’analisi degli interessi USA nella regione riprende paro paro la tesi di Delle Chiaie, che a quel golpe partecipò.
-Conosce Fiebelkorn arrivato dal Paraguay con la sua banda. La descrizione dei Fidanzati della morte, “c’era anche Herbert Kopplin ex SS, esperto in armi corte…” riprende quasi alla lettera un passaggio della traduzione italiana del libro di memorie di Ayda Levy, moglie di Suarez.
-Fiebelkorn gli confida la grande amicizia con Kram ed il loro prossimo appuntamento, dopo l’importante missione in Italia di questi. Il contenuto della confidenza appare completamente inverosimile.
Le altre affermazioni sono indirette o mischiate a considerazioni. Si veda: “Mi fece capire che ogni tanto Carlos utilizzava i loro servigi in varie parti del mondo. Nel caso di Kram il contratto era stato appaltato per conto dello Fplp di Habbas anche se probabilmente dietro c’era sempre l’Olp ma non poteva ovviamente comparire poiché Arafat stava tentando di far riconoscere lo Stato Palestinese.” Fiebelkorn dunque non glielo disse direttamente ma glielo ‘fece capire’.
Con questa formula di comodo si può introdurre nel già labile ‘sentito dire’ praticamente qualsiasi cosa, in particolare ciò che si ritiene aver capito, che sia oggi o 40 anni fa.
Da qui, e fino alla fine, l’intervista non ha più nulla della testimonianza e diventa un argomentare di sospetti che avrebbero dovuto intitolare ‘perché mi sono convinto che Kram ha messo la bomba a Bologna’, ancorché con un tale titolo qualsiasi redazione l’avrebbe cestinata. Fa apertamente ricorso a cose che ha letto o sentito -da Francesco Pazienza!- per cucire il suo ‘contributo’ sull’ipotesi preconfezionata dell’attentato palestinese.

Il giornalista lo lascia fare, la sola distanza che prende sono le virgolette nel testo.

Kram mercenario in appalto
Eppure Arcuri non va a casaccio, ma mira a due punti molto deboli del costrutto, ovvero il fatto che Kram non sia mai stato membro del gruppo di Carlos, e che abbia usato i documenti a suo nome in albergo a Bologna.
Facendo sua la teoria della pista palestinese, Arcuri ne propone uno schema strutturato in subappalti: l’OLP chiede al FPLP di mettere una bomba in Italia; l’FPLP passa il mandato a Carlos; e Carlos lo subappalta a Kram.
Trasformando Kram in una ‘quarta entità’ a cui viene passato l’appalto stragista, evita di ripetere la sfacciata bugia di Giusva Fioravanti (condannato come autore della strage) che sostiene che Kram fosse “il braccio destro di Carlos”, quando è chiara l’inesistenza di una qualche integrazione di Kram nella banda Carlos.
Arcuri si appoggia su ciò che Fiebelkorn gli avrebbe ‘fatto capire’: “Questi individui non facevano parte del gruppo di Carlos, ma erano contattati ogni qual volta la loro presenza era fondamentale per la loro professionalità e riservatezza comprovata”. Gli individui in questione sarebbero i mercenari (Incidentalmente, fa sorridere la ‘riservatezza comprovata’ visto il racconto della missione segreta prima ancora che abbia luogo). Thomas Kram è dunque da considerarsi in questa categoria di operatori: non avendo alcuna ragione di mettere una bomba in una stazione italiana, l’avrà fatto per soldi.
In azione come mercenario, non si capisce perché mai abbia usato i propri documenti originali d’identità.
Arcuri trova la soluzione: “Alcuni mercenari che erano in Bolivia” gli dissero “che dall’Europa in quel periodo c’erano dei problemi con i documenti”. È un’affermazione generica e incontrollabile, oltre che irrilevante. L’uso di questo semplice, ma pessimo, argomento retorico -che sarebbe ridicolo se non fosse legato ad un evento così drammatico- non fa che squalificare ulteriormente il suo discorso. Passato da testimone ad accusatore, conclude da giudice obiettivo: “Potrebbe essere stata una scelta obbligata per non far saltare l’operazione, un’emergenza? Non possiamo né assicurare né smentire, quello che è certo è che Kram era a Bologna il 2 agosto e poi andò in Germania come disse Fiebelkorn”.

Ancora su Fiebelkorn
Arcuri perse di vista Joaquin Legionario qualche giorno dopo le confidenze. Questi partecipò, come si è detto, al golpe, ed Arce Gomez gli consegnò una lista di 140 piccoli trafficanti. Tutta la concorrenza a Roberto Suarez, che aveva finanziato il golpe, andava spazzata via, cosa che la banda fece con piacere, arricchendosi a dismisura. Una volta finita l’epoca nel ‘narcogoverno’, la banda, i cui eccessi avevano scandalizzato gli stessi gorilla ed addirittura Klaus Barbie, dovette fuggire. Vennero arrestati alla frontiera col Brasile, con armi, cianfrusaglia nazista e 3 kg di cocaina come regalo di buon viaggio. Si accordò allora con la DEA, l’agenzia antidroga statunitense, che lo passò al BKA (Bundeskriminalamt, la polizia federale tedesca). La sua collaborazione produsse degli arresti, quale quello di Rudolph Grab.
Fiebelkorn era stato nel frattempo accusato della strage di Bologna, ovvero di essersi recato in Italia su indicazione di Delle Chiaie. Ed in Germania era accusato anche di altri reati, oltre al traffico di droga c’era la tortura di un’impiegata di Suarez.  La testimonianza di Rudolph Grob, che era con lui in Bolivia a ricevere un carico, gli dette un alibi per le accuse italiane, che caddero.
Nel 1982 Roberto Suarez junior, figlio del boss, venne arrestato in Svizzera. La madre Ayda, la sorella Heidy e gli altri due fratelli che erano li a godersi la vita del jet-set, si videro improvvisamante confrontati con i metodi poco elvetici del commissario Cattaneo. Questi fa chiamare Fiebelkorn e lo incontra nell’ufficio della DEA di Milano, poi gli fa un passaporto falso e lo porta in Svizzera,  senza neppure informare i superiori, per mandarlo ad un colloquio in carcere con Roby Suarez. Questi, non sapendo di avere a che fare con un infiltrato, gli chiede di riunire i Fidanzati ed organizzare la sua evasione.
Roby sarà invece estradato negli Stati Uniti. La faccenda ebbe un eco mondiale, poiché il padre Roberto scrisse al Presidente Reagan offrendo di saldare di tasca propria il debito della Bolivia verso gli USA, domanda che venne respinta. Roby venne però prosciolto e liberato, in smacco alla polizia ticinese, da un giudice di Miami poiché le accuse riguardavano Roberto senior, e non lui.
Nelle sue memorie, il commissario Cattaneo ci offre un esempio del ‘lasciare intendere’:

“Comunque, io non ho ancora finito con i due neonazi. Il magistrato italiano Gentile, incaricato delle indagini sulla strage che fece più di 85 morti e 150 feriti alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980, aveva emesso un mandato d’arresto internazionale per Fiebelkorn. Un ex “fidanzato della morte” lo accusava di aver posato la bomba. Ora, Fiebelkorn dispone di un solido alibi: il giorno della strage stava ricevendo un carico di narcodollari in un aeroporto clandestino dei Suarez, alibi confermato da Rudi Grob, nonostante non avesse alcun motivo per fare un regalo all’uomo che lo ha fatto arrestare. Anche se scagionato, l’impressione è che i due conoscano la verità sulla strage di Bologna. Sanno che è stata organizzata e preparata in Bolivia. Non me lo hanno mai detto direttamente, ma me lo hanno fatto intendere. All’epoca, presso i “fidanzati della morte”, si trovavano alcuni terroristi italiani di estrema destra, tra cui il temibile Stefano Delle Chiaie, ricercato in Italia per la sua partecipazione a diverse stragi. Grob e Fiebelkorn avrebbero visto in Bolivia un importante politico italiano, hanno evocato la loggia massonica P2 e parlato del trasferimento in l’Italia di enormi somme di denaro. Mi hanno fatto capire che, se gli fossero fornite delle precise garanzie, soldi e passaporti, accetterebbero di collaborare. Gli italiani rifiutano e l’accordo salta.”

Finale con autogol
Oggi Joachim Fiebelkorn vive in Spagna, ha una grande finca presso Alicante, organizzata come un fortino, dove riceve vecchi commilitoni e ufficiali delle forze armate spagnole. Accanto all’altare per la messa, ha piazzato due mitragliatrici su treppiede. È facilmente raggiungibile, e sarebbe probabilmente contento di ricevere un giornalista che parlerà ancora di lui. Ma occorre la volontà di verificare quanto ha detto Arcuri, cosa che sembra mancare al giornalista del Dubbio.


Non si ha sentore in tutto il pezzo di un qualche controllo di fatti e fonti. Il nome  del capo del FPLP, George Habbash (Abu Abbas è invece il nome del capo del FLP, altra frazione), viene indicato due volte come Habbas: l’errore, in sé piccolo, è sintomatico di quanto le più semplici correzioni di contenuto, le più facili da verificare, siano state evitate. Aliprandi si appiattisce sul racconto di Arcuri e pare condividerne appieno l’orientamento. Nella conclusione dà redazionalmente spazio alla posizione di Kram, che è evidentemente quella dell’accusato, riportando delle spiegazioni date da Kram.
Lo introduce però con una formulazione assai problematica: “Per dovere di cronaca Kram ha da sempre rigettato le accuse di aver fatto parte dell’organizzazione di Carlos”. Si lascia intendere che egli sia stato accusato da una qualche autorità in Germania, in Italia o altrove, il che è falso. ‘Dovere di cronaca’ significa dovere al pubblico un’informazione completa. Recte: “Per dovere di cronaca Kram non è mai stato accusato di far parte del gruppo di Carlos”.
Qualche riga più sotto una sorta di chiarimento: le accuse sono quelle della campagna stampa, che procede a colpi di ’scoop’. L’ultimo dice che Kram era già stato nello stesso albergo, che contemporaneamente ospitava Paolo Bellini, di Avanguardia Nazionale. Sfugge al lettore cosa debba ora sospettare: che Kram era in contatto con Avanguardia Nazionale, e dunque avrebbe ricevuto da questa, e non da Carlos, il mandato omicida?
La frase finale del pezzo è folgorante.
“Kram, cinque mesi prima della strage era stato già a Bologna, e quel giorno, in quello stesso albergo, ha soggiornato anche Paolo Bellini, l’ex primula nera di Avanguardia nazionale. Ricordiamo che i Nar, invece, erano una formazione nata come punto di rottura e antagonismo nei confronti delle formazioni golpiste e stragiste.”
I NAR secondo Aliprandi erano antagonisti, cioè rivali, nemici, di Avanguardia Nazionale. Non nascono ammazzando comunisti, come Roberto Scialabba e Ivo Zini, né sono intenti stragisti il lancio di due bombe a mano contro una sede del PCI, con 27 feriti, e le mitragliate contro un collettivo di donne a Radio Città Futura con tanto di lancio di molotov in un locale chiuso.
Il cerchio della mistificazione si completa: Fiebelkorn è un faccendiere e Fioravanti un antifascista.

Anche nelle questioni più gravi, l’Italia va a tifoserie. Nella memoria pubblica italiana, la magistratura ha i suoi fans, chi critica la sentenza di condanna viene arruolato tra i fans della squadra avversaria, quella che scommette su una Verità Alternativa. E chi dubita della Verità Alternativa subisce la stessa sorte, in senso contrario.
Poi c’è chi s’arruola volontariamente da una parte: il pezzo discusso qui si proponeva di contribuire alla campagna contro Kram, ma, grazie alla sua splendida e partigiana ignoranza, finisce per essere un autogol che la stessa tifoseria per la pista palestinese fischierà.
Ciò che sorprende, è che questo appaia su un giornale che si vuole, salvo errori, garantista e attento ai diritti dei deboli.

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