La memoria collettiva non esiste
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dementio memoriae
La memoria collettiva non esiste in natura. Non sta scritta in un libro, non si trova registrata su un qualche supporto. Non può incarnarsi in una persona. Non è neppure una somma di memorie individuali.
La memoria collettiva non esiste al singolare. Ogni collettivo ha la sua memoria. Ce ne sono almeno tante quante sono i collettivi. E ogni individuo partecipa a più memorie collettive. Le memorie collettive concorrenti possono entrare in competizione o in conflitto, quando vengono espresse o usate pubblicamente.
La memoria collettiva non esiste una volta per tutte. Nasce, evolve, muta e scompare con il tempo, che non è il tempo calendario ma quello degli eventi determinanti per il collettivo. La memoria è una radice nel tempo, un fondamento della costruzione identitaria del collettivo cui fornisce un passato.
La memoria collettiva non esiste nel vuoto. Non esiste che all’interno di un quadro sociale che permette al collettivo di cogliere il significato di quanto accaduto. La memoria è soprattutto ciò che il collettivo fa del passato. Il collettivo pone ciò che resta del passato e del proprio vissuto nel quadro di un universo simbolico che gli restituisce una fisionomia famigliare. La memoria collettiva integra così il sapere collettivo, contribuendo a narrare la natura del problema e ad orientare la risoluzione che il collettivo, il gruppo sociale, la comunità, indicheranno per il problema. La memoria collettiva non esiste senza oblio collettivo. Per l’oblio, può valere quanto appena detto per la memoria, benché non lo si possa esprimere con il ricordo. La memoria sociale scongiura l’oblio, e se ne nutre al tempo stesso.
L’alzheimer condiviso
Il 9 maggio 2009 è stato celebrato per la seconda volta il "Giorno della Memoria dedicato alle vittime del terrorismo". Il suo fine, secondo la legge che l’ha istituito , è di « conservare, rinnovare e costruire una memoria storica condivisa in difesa delle istituzioni democratiche ». La cerimonia a Palazzo Quirinale ha avuto eco poiché la vedova e le figlie di Pino Pinelli, anarchico defenestrato dalla questura di Milano 40 anni fa, vi sono state invitate e vi hanno incontrato la vedova e i figli del commissario Luigi Calabresi, che aveva portato in questura il Pinelli e che 3 anni dopo venne assassinato. L’incontro è stato letto, sul piano simbolico, come un atto di ‘pacificazione’
Il concetto di ‘memoria storica condivisa’ indicato legge non è meglio chiarito. Se la memoria è il racconto che ‘noi’ facciamo del ricordo degli eventi, e la storia il raccontare gli (stessi) eventi con prove e metodi scientifici, la formula pare impantanata in mezzo al guado.
L’interesse principale dello Stato a promuovere conservazione, rinnovo e costruzione di questa memoria storica condivisa è però precisato: “in difesa delle istituzioni democratiche”.
Rispetto a ciò che si è capito degli invitati, non si tratta delle sole vittime cadute, per la maggior parte ad opera della lotta armata, in difesa delle istituzioni, ma anche delle vittime di stragi indiscriminate (altrimenti, sarebbero escluse le vittime dell’attentato del 12 dicembre 1969 a Milano).
L’inclusione della vedova Pinelli rende opaco il criterio, taluni eredi di vittime non la condividono ritenendo che non sia ‘vittima del terrorismo’. Il tratto comune della composizione di vittime parrebbe il fatto che tutte 'avrebbero dovuto essere difese dallo Stato’.
Ma la memoria di questa legge mira a salvaguardare il ricordo di integrità degli apparati statali, ed appare inevitabile che si lasci all’oblio quanta disonorevole responsabilità gli stessi apparati (non i loro doppioni) portino nelle stragi e nell’occultamento di verità.
Nel suo discorso, il Presidente italiano costruisce il collettivo della ‘memoria condivisa’ per inclusione della vittima Giuseppe Pinelli, poiché, benché anarchico, fu “vittima innocente”. Una qualità non richiesta alle “vittime del terrorismo”, ma lo scarto serve a richiamare l’innocenza ufficiale del commissario Calabresi per la morte dell’anarchico Pinelli; morte che non fu dovuta né a malore, né ad incidente, né a suicidio. L’omicidio di Stato è gettato nella pattumiera della memoria storica condivisa.
Il discorso produce identità anche per esclusione, designando quella dei colpevoli, l’identità altrui da cui il ‘noi’ trae differenza.
Le mancate estradizioni dalla Francia di Marina Petrella, e dal Brasile di Cesare Battisti, cui esplicitamente allude, sono atti incomprensibili il cui rifiuto è condiviso dal collettivo. Il binomio di contrapposizione vittima-persecutore è completato. Eppure stride: Marina Petrella, non estradata perché ricoverata e a rischio di vita, che viene additata agli eredi delle vittime della strage di piazza Fontana. Nel quadro simbolico, anche il tempo biografico salta: Marina Petrella aveva sedici anni al tempo di quell’evento.
Proprio quell’evento è evocato con ricorrenza nei racconti e nelle testimonianze degli ex-militanti della lotta armata come determinante nel processo di radicalizzazione delle scelte politiche. Quel momento fu definito della ‘perdita dell’innocenza’, secondo l’espressione degli ex-dirigenti di Lotta Continua Adriano Sofri e Luigi Manconi, del movimento erede del ‘68. Sul piano simbolico segnò l’attribuzione dello status di vittima al movimento, che identificava e integrava le vittime come proprie. Vittime di una violenza esagerata e indescrivibile poiché orchestrata o manipolata dagli apparati dello Stato. I corpi lacerati di gente del popolo, il corpo del ferroviere Pinelli schiantato nel cortile della questura, e Valpreda in carcere per anni (la persecuzione contro gli anarchici andò oltre la morte del commissario Calabresi): questo è il 12 dicembre 1969.
Proprio quell’evento indusse il costituirsi d’una memoria collettiva, rinforzando il ‘noi’ del movimento per esclusione e per contrapposizione a un ‘loro’ che uccide e che lo accusa di averlo fatto. Chi fosse il ‘loro’ che era giunto a far questo, venne urlato per anni nelle piazze italiane : la strage è di Stato! La mobilitazione collettiva di una memoria 'contro', produsse in primo luogo la 'controinformazione'.
Oggi Giorgio Napolitano dichiara di sottrarre Pinelli “alla rimozione e all’oblio”, con un “gesto politico e istituzionale” che consiste nella sua sola dichiarazione in presenza delle eredi. L’oblio è evidentemente tutto suo e dell’istituzione che presiede. Aveva detto Licia Pinelli prima della cerimonia: “Mi piacerebbe, ripeto, che i politici dessero l’ordine di spalancare gli armadi sul passato e lasciar riposare in pace i nostri cari.” (La Repubblica 8.5.09)
La 'memoria storica condivisa' preferisce gli armadi chiusi.
Il discorso del Presidente della Repubblica configura la memoria del collettivo ‘nazione italiana’ come la memoria delle vittime. Napolitano nega la validità di altre memorie, quelle che giudica “romanticheggianti e autogiustificative”. È noto che di ‘giustificazionismo’ sono tacciate le considerazioni e i riferimenti “al clima e ai fatti dello stragismo” come quelle prima esposte. Eppure la lotta armata, nelle sue varie espressioni italiane, non ne ha mai avuto bisogno. È stata teorizzata, messa in pratica e sconfitta a cielo aperto.
Lo ripete a Napolitano l'ex-Presidente Cossiga : “Che i combattenti della lotta armata non fossero ‘terroristi’, ma combattenti di una rivoluzione senza futuro, che fossero comunisti e marxisti-leninisti, che catturando, ‘processando’ e uccidendo Aldo Moro essi abbiano creduto di compiere un atto rivoluzionario, l’ho sempre creduto.” (Il Tempo 10.5.09) L'emerito Cossiga gioca con i tabù politici, si vuole provocatore, eppure loda il processo di 'pacificazione'.
Una pacificazione all'insegna di una 'memoria storica condivisa' che rinuncia alla verità ma non alla pena.
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L’immagine è un poster realizzato dall’artista e militante tedesca Petra Gerschner. L’effetto di contrasto è dato dal ‘quadro sociale’, un salotto piccolo-borghese, che incornicia il ricordo dell’evento passato, l’immagine di una rivolta urbana. Vedi il sito holydamnit
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Buona e densa l'analisi fatta sul fenomeno tutto italiano della ricostruzione della storia raccontata dai vincitori sulla base di una 'memoria storica' ad hoc. Se la ricostruzione storica di parte non ha nulla di originale in sé, questo aspetto molto particolare di erigere i parenti delle vittime più che le vittime stesse a soggetto sociale e politico sembra essere una caratteristica solo italiana.
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