Pantere nella Casbah
Il 21 luglio 1969, due americani piantavano una bandiera degli Stati Uniti sulla Luna. Lo stesso giorno ad Algeri si apriva il Primo Festival Panafricano di cultura. “Non vedo che vantaggio l’umanità possa trarre dall’arrivo di due astronauti sulla Luna, mentre la gente viene assassinata in Vietnam, e soffre la fame financo negli Stati Uniti” questo il commento di Eldrige Cleaver, dirigente in esilio del Black Panther Party, ad un reporter americano che copriva il Festival. L’interpretazione dell’allora Presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson fu diversa; per lui, la riuscita della missione Apollo significava che l’America poteva fare qualsiasi cosa considerasse necessaria.
Così apre Kathleen Neal Cleaver il suo "Back to Africa: The Evolution of the International Section of the Black Panther Party (1969-1972)", in Charles Jones, The Black Panther Party Reconsidered, Baltimore, 1998.
I televisori, tutti in bianco e nero, erano accesi un po’ ovunque anche ad Algeri per l’eccezionale avvenimento, ma i cuori erano rivolti all’altro evento che cominciava in città. Non fu per la bandiera sulla Luna che gli esultanti youyou delle donne scesero la città fino a disperdersi sul Mediterraneo. Quanto alla diffusione degli apparecchi tv, vale rammentare che allora si puntava sulla radio come arma strategica dello sviluppo: ne parla il Bollettino N. 4 del Festival, che riprende Frantz Fanon sull’importanza della radio nell’ambito delle lotte di liberazione nazionale: “possedere una ‘postazione di trasmissione senza fili’ è entrare solennemente in guerra.”
Il commento di Eldridge Cleaver, al di là del tono ideologico, corrispondeva bene allo spirito di rivolta e di battaglia dell’epoca. L’Africa in lotta che sbarcava in massa nella capitale algerina era accompagnata, sostenuta ed integrata da altri movimenti di liberazione, come quelli del Vietnam e della Palestina. Chiunque lì avrebbe volentieri scambiato la conquista della Luna con la conquista della libertà.
Con il Festival, s’inaugurò anche il Simposio al Club des Pins, nuovo complesso costruito fuori città. Accanto alle numerose delegazioni venute da tutti i paesi africani, compreso il Regno di Libia che solo nel settembre successivo divenne Repubblica con il colpo di Muhammar Gheddafi, ed in diversi casi non dei governi ma dei Movimenti di Liberazione africani riconosciuti, sedevano rappresentanti di Al Fatah, del FLN Vietnamita, dei Black Panther statunitensi, e numerose personalità internazionali del mondo della cultura e dell’arte (africanisti, etnologi, scrittori, musicisti, ecc.).
Tra gli atti ufficiali, un messaggio di intellettuali ed artisti brasiliani, tra i cui firmatari figurano lo scrittore Jorge Amado, l’architetto Oscar Niemeyer, il regista Glauber Rocha, i musicisti Caetano Veloso e Gilberto Gil (dal 2003 al 2008 sarà Ministro della cultura del governo brasiliano), richiama alla memoria il passato brasiliano di colonia portoghese, uno Stato coloniale con capitale Bahia che riuniva la costa occidentale africana e il Mozambico con il Brasile, per affermare il “rigetto di ogni tipo di colonialismo, sia esso del Portogallo sugli africani che d’Israele sui palestinesi” e esprimere in particolare l’appoggio “ai nostri fratelli di Angola, Guinea-Bissau e Mozambico”.
Nel Simposio, dopo lo “smog di banalità ufficiali” (G.W.Shepherd, Reflections on the Pan-African Cultural Conference in Algiers, in Africa Today Vol.16 n.4), il dibattito schiodò il panafricanismo dal concetto di negritudine. Perciò il festival di Algeri è stato letto come un sorpasso del Festival des Arts Nègres di Dakar, promosso nel 1966 da Léopold Senghor, il presidente-poeta del Sénegal che con Aimé Césaire aveva concepito la definizione di negritudine. Lo scrittore uruguayano Mario Benedetti, recentemente scomparso (un in memoriam su Carmilla) e che vi partecipò, lo sintetizza così:
Cos’è, dopotutto, la negritudine? Domandò. L’inventore del termine, il poeta antillese Aimé Césaire, gli dette una definizione in negativo: “La negritudine non è né una torre né una cattedrale.” Il suo grande difensore attuale, Léopold Sédar Senghor, per il quale la negritudine è un’ontologia ed anche un messianesimo, ha tentato di definirla in positivo, ma il risultato è la seguente astrazione: “La negritudine è l’insieme dei valori di civilizzazione -culturali, economici, sociali, politici, che caratterizzano i popoli neri.” Sartre, Fanon, Mphaelele, Depestre, Sékou Touré ed altri autori che contestarono la negritudine riconoscono comunque l’importanza che questa presa di posizione ebbe come primo sintomo di ribellione, come prima ricerca d’una identità. Sono le derive attuali che hanno trasformato (con le abili deviazioni effettuate da Senghor) in un elemento importante del neo-colonialismo. Da parte mia credo che la negritudine, nel suo stato attuale, stia all’Africa come lo strutturalismo sta all’Europa bianca. Sartre a detto che lo strutturalismo “è l’ultima diga che la borghesia può ancora costruire contro Marx” (rivista L’Arc, n. 30, Paris 1966). Ho l’impressione che la negritudine, come lo strutturalismo, sia un ultimo tentativo di escamotage delle opzioni e dei temi fondamentali della vita politica contemporanea.
(Africa 69, in Cuadernos de marcha, Montevideo 1969, ripreso da René Depestre, in Bonjour et adieu la négritude, Seghers 1980)
Panafricanista convinto resterà Stokely Carmichael, che si trasferisce quell’anno in Guinea Conakry dove assumerà il nome di Kwame Toure, in onore dei leaders africani Kwame Nkrumah e Ahmed Sékou Touré. La sua rottura con i Black Panthers si è già consumata, e durante il Festival i suoi rapporti con Eldridge Cleaver sono tesi a non approfondire tensioni.
Eldridge Cleaver era sbarcato ad Algeri provenendo da Cuba, dove s’era clandestinamente rifugiato ed aveva passato i primi mesi d’esilio, per sottrarsi all’arresto ordinato per violazione della libertà condizionale. Era stato arrestato due giorni dopo l’assassinio di Malcolm X, a seguito di una sparatoria tra le Pantere nere e la polizia di Oakland (California); bilancio della battaglia: una Pantera uccisa, otto arrestate, e tre poliziotti feriti. Aveva in seguito ottenuto la libertà su cauzione (habeas corpus) e si era candidato alla Presidenza con il Peace and Freedom Party, forte del successo del suo libro, Soul on Ice.
Piuttosto che consegnarsi all’autorità penitenziaria, Cleaver passò in clandestinità ed andò a Cuba, dove però le cose non si svilupparono come pensava, tanto che rimase nell’anonimato. I cubani gli garantivano asilo a titolo individuale e non volevano che la sua presenza fosse mediatizzata; né vedevano di buon occhio un’attività politica incentrata sulle condizioni razziali. Eldrige si attendeva invece di poter disporre di un’organizzazione permanente capace di produrre e diffondere informazioni; sperava di ottenere un programma su Radio Avana, come Robert Williams che diffondeva sugli Stati Uniti il suo Radio Free Dixie. Quando un giornalista della Reuters rivelò il suo nascondiglio, i cubani gli proposero di spostarsi in Algeria. Lo accompagnarono fornendogli un passaporto per il transito, e ad Algeri ritrovò la moglie Kathleen, incinta all’ottavo mese, ed Emory Douglas, che v’erano arrivati legalmente via Parigi.
I cubani gli comunicarono che avrebbe lasciato prossimamente Algeri per un campo palestinese in Giordania, perché i dirigenti algerini si erano mostrati scontenti del suo arrivo; al che Eldridge, preoccupato per i cambiamenti di programma e le bugie che andava scoprendo, cercò altri contatti. Telefonò a Mario Andrade, rappresentante dell’MPLA, il quale gli fece conoscere Charles Chikarema, che ad Algeri rappresentava la Zimbabwe African People’s Union (ZAPU) e che con lui condivideva, oltre alla lingua, una certa ostilità verso il governo cubano, per essere stato espulso anni prima da Cuba a causa delle sue rivendicazioni a favore degli studenti africani a l’Avana.
Chikarema gli presentò Elaine Klein, una persona contro la quale i cubani l’avevano messo in guardia. La donna, di origine new-yorkese, aveva studiato in Francia, dove aveva sostenuto l’FLN algerino, e si era trasferita ad Algeri dopo l’indipendenza, lavorando nell’ufficio stampa del Presidente Ahmed Ben Bella. Amica di Frantz Fanon, che aveva accompagnato negli Stati Uniti per un trattamento della sua malattia incurabile, era ben introdotta nella dirigenza algerina, e scoprì che questa ignorava la stessa presenza di Cleaver.
Il piccolo doppio gioco dei cubani si spiega probabilmente col fatto che Cuba aveva sempre sostenuto l’FLN e si era alleata con l’Algeria di Ben Bella. Quando questi venne spodestato dal suo vice, lo sconosciuto colonnello Houari Boumedienne, Cuba denunciò il colpo contro quello che considerava uno dei governi più progressisti del continente, con cui aveva un rapporto privilegiato. Ed era stato Ernesto Che Guevara in persona, con le sue visite ufficiali e non, a cementarlo.
Elaine Klein, che lavorava al Ministero dell’informazione, ottenne l’iscrizione ufficiale dei Cleaver e di una intera delegazione dei Black Panthers al Festival Panafricano. Questo, anche senza un rapporto diretto col governo algerino o uno statuto formale di rifugiato, fu l’elemento che permise al ricercato di riemergere pubblicamente. Del resto gli Stati Uniti non avevano più un’ambasciata (i loro interessi erano gestiti da quella svizzera) a seguito del loro appoggio ad Israele nella guerra dei Sei giorni, conflitto in cui le truppe algerine erano intervenute a fianco di quelle egiziane, e non v’era quindi rischio d’arresto ed estradizione in assenza di relazioni diplomatiche.
Eldridge Cleaver rientrò sulla scena pubblica con una conferenza stampa che fece scalpitare i media occidentali. Era attorniato da un folto gruppo di Pantere, che Emory Douglas aveva riportato dagli Stati Uniti dove era stato spedito a mettere insieme il materiale per il festival.
La presenza dei Black Panthers ad Algeri diventa l’evento nell’evento, e William Klein, finito il film sul Festival Panafricano, ne gira immediatamente un altro, sempre col sostegno dell’ente algerino, proprio su Eldridge Cleaver (nell’immagine in alto, il poster; la foto qui, di Bruno Barbey della Magnum, mostra i Black Panthers con una delegazione palestinese ad una conferenza stampa).
Beninteso anche negli Stati Uniti le Pantere, ed in particolare il gruppo di ritorno da Algeri con David Hilliard, divenuto Chief Executive del Partito in assenza della triade dirigenziale composta oltre che da Eldridge Cleaver, da Huey Newton e Bobby Seale che erano incarcerati, non mancarono di pubblicizzare la cosa.
Panthers in the Kasbah, titolava il loro giornale, anche se effettivamente nessuno dei loro né il loro ufficio erano situati in quel quartiere. Ma la Casbah, su un fondo evocativo di mistica orientalista, richiama alla memoria essenzialmente La battaglia d’Algeri, il film di Gillo Pontecorvo che fece conoscere al mondo la guerra di liberazione algerina, mostrando per la prima volta la realtà della guerriglia urbana e presentando il terrorismo sotto un’altra luce.
La Casbah, letteralmente: la fortezza, è la cittadella impenetrabile costruita da Mori, con i suoi dedali di vicoli, cortili, passaggi angusti, ed è il luogo in cui si rifugiano Ali La Pointe ed i guerriglieri del FLN, coperti ed appoggiati dalla popolazione araba, e diventa così sinonimo concreto del principio che vuole il rivoluzionario muoversi ‘come un pesce nell’acqua’. Va rammentato che il celebre film, a lungo proibito in Francia (ma anche altrove, come negli USA), era spesso l’unico elemento di conoscenza del paese che gli esuli e rivoluzionari occidentali, a cominciare da Eldridge, avevano prima di sbarcarvi.
Così, cogliendo le coincidenze e le opportunità che si presentavano, i Black Panthers costruirono una loro sezione internazionale, basata ad Algeri dove aprirono una ‘ambasciata’, che sviluppò numerosi contatti, viaggi e visite.
Sex & Drugs & Revolution?
Un anno dopo, nel settembre 1970, un altro evento, piuttosto singolare, riportava l’attenzione sulle attività di Eldridge ad Algeri: l’arrivo di Timothy Leary.
Leary era, con Jerry Rubin ed Abbie Hoffmann, una delle personalità di spicco del movimento Yippie. Professore di psicologia ad Harvard, cominciò a sperimentare l’uso dell’acido lisergico, allora legalmente prodotto secondo la formula del chimico svizzero Albert Hoffmann della Sandoz, per poi teorizzarlo come strumento liberatorio, e propugnarne la diffusione quale elisir di salvezza cosmica. Il ‘Papa dell’LSD’, oltre ad essere buttato fuori dall’università, venne arrestato per possesso di qualche joint di marijuana e condannato a dieci anni.
Dopo alcuni mesi, l’evasione: organizzata e diretta dai Weathermen, gruppo di dirigenti del movimento studentesco (SDS, Students for a Democratic Society) passati in clandestinità, che mobilitarono per l’occasione più di una ventina di militanti. I Weather Underground avevano bisogno di soldi, ed un gruppo di sostenitori di Tim Leary che ne aveva parecchi, la Brotherhood of Eternal Love (Fratellanza dell’Amore Eterno) compensò l’azione con 20'000 dollari.
La liberazione dell’esponente della controcultura era comunque un obiettivo rivendicato perché condiviso e festeggiato da tutte le componenti del movimento. “I Weatherman Underground hanno l’onore ed il piacere di aiutare la fuga del Dr. Timothy Leary dal campo di prigionieri di guerra San Luis Obispo, California," scrisse Bernardine Dohrn nel quarto comunicato dalla clandestinità.
Dopo la fuga dal penitenziario a bassa sicurezza, pensarono all’espatrio clandestino. Stewart Albert viaggiò ad Algeri per prepararne l’arrivo ed attenderlo. Tim Leary sbarcò dunque all’aeroporto di Dar-el-beida alla luce del sole.
Una sequenza dell’arrivo è riprodotta nel film The Weather Underground (Sam Green & Bill Siegel, 2002): accolto da Eldridge, Tim Leary sfoggia il suo celebre contagioso sorriso.
Si apriva così un altro piccolo ma bizzarro capitolo. Un paradosso era già allora evidente, e ne accennò Jonah (Jomo) Raskin nella cronaca che scrisse su The Realist. Un paese mussulmano, che considera la droga, come appunto si vede ne La battaglia d’Algeri, uno strumento dell’oppressione coloniale da estirpare, che accoglie il più noto tra i fautori del consumo di droghe, il profeta della psichedelia? La spiegazione non sta nelle affermazioni di nuova fede rivoluzionaria di Tim Leary, ma nel fatto che per gli algerini non era ben chiaro di chi si trattasse effettivamente. La richiesta di accoglienza veniva da Eldridge Cleaver, come quelle di altri casi precedenti per dei militanti del BPP in fuga dalla ‘Babilonia’ americana. Pare s’immaginassero un altro afro-americano, non un bianco, ed inoltre il fatto che si trattasse di un ‘dottore in psicologia’, proprio come Frantz Fanon, può aver giocato un ruolo illusorio. Questa era comunque la versione che allargava il sorriso di Tim. Racconta Stew Albert (in Death of a Salesman) che all’inizio Eldridge era sospettoso, ma ammirava Tim e la sua fuga, ed in fondo si annoiava in esilio, la sua vita aveva sviluppato un aspetto burocratico tipico dei diplomatici ed era immerso in una cultura algerina fatta di puritano zelo rivoluzionario e di corruzione privata. E che Tim, il guru delle ‘buone vibrazioni’, anche in conversazioni private s’era fatto più cinico: “Dovrei essere popolare nel terzo mondo; ho fatto più io di chiunque nella storia per distruggere le menti di un sacco di ragazzi della borghesia bianca…”. Stew ricorda tra l’altro lo screzio tra i due, quando per il compleanno di Tim, Eldridge si rifiutò di regalargli una pistola. Al funerale di Stew Albert, rara figura di militante rimasto impegnato sino alla morte, nel 2006, Kathleen Cleaver ricorderà con humor quei momenti algerini. Anche Bernardine Dohrn fece un bell’elogio funebre, pubblicato sulla Monthly Review, dove gli Yippies sono indicati come “kissing brothers” dei Weathermen. Si installano, Timothy Leary e sua moglie Rosemary, proprio a casa di Eldridge e Kathleen Cleaver, una villa arredata con tappeti, cuscini e materassi, dove si ascolta musica di Leonard Cohen e Bob Dylan. I quattro sono raffigurati nudi sotto la stessa coperta nel disegno di prima pagina del Realist, che invita il lettore a ‘considerare le possibilità’ (nell’immagine, dal The Realist Archive Project). In tempi in cui la rivoluzione era anche sperimentazione sessuale e la promiscuità all’ordine del giorno, l’allusione non era più maliziosa di una strizzatina d’occhio. E Tim Leary aveva già stazionato in un letto famoso: quello di John Lennon e Yoko Ono del bed-in per la pace. Sul letto algerino Eldridge e Tim, con clessidra e mappamondo, si fanno intervistare sulla questione delle droghe (l’audio non è di facile comprensione): L’apertura di Eldridge al discorso psichedelico, se così si può dire, corrispondeva al suo interesse nella possibilità di coinvolgere altre parti del movimento, di convincere fricchettoni e pacifisti del valore di unità tra ribelli perché sostengano Black Panthers e Weathermen. Qualche settimana dopo l’arrivo di Leary, una delegazione comune delle due componenti del movimento, gli Yippies e i Weather Underground, con Anita Hoffmann, moglie di Abbie che finanziò il viaggio, Marty Kenner responsabile del fondo per la difesa dei Black Panther, Brian Flanagan, dei Weather Underground, Jennifer Dohrn, sorella della leader storica dei Weather, Bernardine, e Jonah Raskin che ne fece poi la cronaca, viaggiò ad Algeri in ‘visita di solidarietà’, ospite dei Black Panthers. L’attitudine autoritaria di Eldridge Cleaver fece letteralmente fuggire Anita Hoffmann, mentre il resto della delegazione restò fedele all’ospite ed emarginò poi gli Hoffmann. La storia finì, malamente, l’anno successivo, quando Eldridge mise agli ‘arresti domiciliari’ i Leary. Questi recuperarono quattrini dai loro ricchi finanziatori americani, che pure cominciavano a scocciarsi di pagare, e ottennero di partire per la Svizzera, dove Timothy venne arrestato ma non estradato per mancanza di una base legale. Nel 1972 fu preso -letteralmente sequestrato- in Afghanistan da agenti del Bureau of Narcotics and Dangerous Drugs e portato alla prigione di Folsom, nella cella accanto a quella di Charles Manson. Se la cavò cooperando con le autorità, fatto che gli allontanò ancor più amicizie e solidarietà restanti. Racconterà 35 anni dopo Jonah Raskin che era stato lui stesso ad avvisare Cleaver che Leary aveva fatto dei nomi mettendo in pericolo l’organizzazione, donde gli ‘arresti domiciliari’. Raskin, della rete legale dei Weather, tornò a New York da quell’ultimo viaggio col sentimento che quei due fossero matti. Il suo resoconto del viaggio della delegazione, sul Realist citato prima, narrava di un ‘giro turistico rivoluzionario’ fatto ad Algeri, “città aliena per Tim, Eldridge e gli Yippies del Lower East Side”, e concludeva liricamente sull’attesa della fine della macchina di morte americana e della nascita di un mondo nuovo: “In Algeria, getting higher and higher, we felt that day moving toward us faster and faster.” (qualcosa come: in Algeria, sempre più fatti, sentivamo quel giorno avvicinarsi sempre più in fretta). (2 - continua) La prima parte qui Il seguito qui
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