Come era prevedibile e previsto (vedi Lula Stopper, Battisti libero?), il Presidente brasiliano uscente ha respinto la richiesta italiana di estradizione. Malgrado l'avviso favorevole all'estradizione dato dal Supremo Tribunale Federale (STF), l'esecuzione di un atto nei confronti di una nazione straniera rientra nelle competenze del Presidente, che le ha usate per le ragioni che vedremo in dettaglio.
Gilmar Mendes e Cesare Battisti |
Il tratto di fondo di questa ondata della campagna è quello già visto: insulti a di Battisti, estesi al Brasile, ed ora ovviamente anche a Lula.
La lirica che la compone è a tratti visionaria: "Battisti resterà libero Di uccidere la giustizia" (così Mario Cervi su Il giornale 30.12.10).
"Il terrorista rosso è collegato ai servizi sovietici... può ricattare tutti, ecco perché resta in Brasile" così titola la rivelazione del bombastico Piero Laporta, che arriva a resuscitare lo spettro del KGB, pubblicata in Italia Oggi 31.12.10.
La 'protesta italiana' prende ancora una volta la forma di gazzarra, ripetendo ogni sorta di fesseria; non ci sarà comunque nessuno a mettere in discussione le scempiaggini a diffusione di massa, visto che sono per la 'buona causa': l'estradizione di quel "Farabutto da due soldi difeso da intellettuali cialtroni" per usare una sobria espressione di Giampiero Mughini (Libero 30.12.10).
E quando si è già detto 'di tutto e di più', si può sempre ricominciare da capo; sicché Filippo Facci (Libero 6.1.11) torna a pubblicare frasi dei romanzi di Cesare Battisti, convinto com'è che sia "autobiografia pura, nei fatti e nello spirito", e assistiamo al proliferare di altre 'cronache vere' dei delitti dei PAC, in cui si esercitano le 'migliori penne' del giornalismo italiano.
"Nella busta c'era una cronaca minuto per minuto dell'agguato mortale a Torregiani. Si sosteneva che, mentre l'orefice rispondeva all'attacco dei killer, il figlio Alberto aveva cercato di mettersi al riparo. E che nel farlo 'era incorso nella linea di fuoco del padre'. A molti cronisti, me compreso, sembrò un nefando tentativo di liberarsi di una responsabilità." Parola di Giampaolo Pansa, che accuratamente evita di raccontare che era effettivamente andata così: il "nefando tentativo" di allora, è lo stesso di oggi di Battisti, che pure non partecipò, secondo le sentenze di condanna, a quell'attentato. Eppure, dramma nel dramma, andò proprio così, Pierluigi Torregiani, che aveva un giubbotto antiproiettile ed un'arma di grosso calibro, reagì all'attacco e colpì con una rivoltellata il figlio quindicenne che l'accompagnava.
Per omissione si afferma come verità che Battisti, che non era neppure sul posto, sia l'assassino. E magari anche persecutore diretto di Alberto Torregiani.
Tanto n'è convinto Andrea Montanari da far traballare la sintassi, su Repubblica 5.1.11: "(...) Alberto Torregiani, figlio di una delle vittime di Battisti, costretto a stare sulla sedia a rotelle dopo essere stato ferito dall'ex terrorista ora scappato in Brasile lo stesso giorno in cui Battisti uccise il padre."
E Alberto Torregiani, che pare ormai aver professionalizzato il suo ruolo di vittima, si guarda bene dallo smentire, anzi: "Torregiani: 'Mi ha ucciso il padre, stavolta scenderò in piazza'" così titola Il giorno del 30.12.10.
Le proteste di piazza, anche se radunano ben poche persone (vedi "Ridacci Battisti e riprenditi i trans" finisce così il sit-in contro Lula), servono a dare una messa in scena al furor di popolo, e fungono da passerella per i politici che cavalcano l'odio giustizialista, sentendosi nel giusto.
L'Italia, vittima immaginaria
Di nuovo quel che viene dal Brasile è vissuto come "schiaffo", "insulto", "pugnalata" e così via. Nel discorso pubblico domina inoltre il 'noi' che costituisce il collettivo-Italia, e raduna tutti, dall'intellettuale allo scagnozzo, purché italiani. L'Italia vuole sentirsi vittima.
Nel 'dateci Battisti' ripetuto e declinato ad oltranza, si concentrano l'espressione di un noi ferito dall'aggressione straniera, e l'oscura minaccia di rappresaglia di una giustizia sommaria -'datecelo, che ci pensiamo noi' è il pensiero bipartisan davvero poco nascosto, di cui nessuno si vergogna.
Ogni vittima rimanda al suo persecutore, e in questa puntata l'Italia attribuisce il ruolo del cattivo all'ormai ex-presidente brasiliano.
"Non so francamente se Lula, e quel che segue o precede il suo nome inutilmente lungo, avrebbe evitato l'estradizione a quell'assassino pagliaccio e falsario anche nel caso in cui a guidare il governo italiano ci fosse stato Walter Veltroni o un altro di quelli che da sinistra hanno sbeffeggiato il Cavaliere." Questo l'elegante prodotto della fronte inutilmente spaziosa di Francesco Damato (editoriale de Il Tempo 3.1.2011 e dio bono, son due sillabe: Lu-La!), che non sa trattenersi dall'esprimere il disprezzo verso della gentaccia di strada come quel capo dal nome buzzurro, contrapponendolo in una sola frase a questo capo dal nome di equestre nobiltà (chi in Italia non sa chi è 'il Cavaliere'?).
Sa come affrontare il nemico, Paolo Granzotto: "Parliamogli dunque a muso duro, al Calamaro, facciamogli capire che per compiacere le Carle Bruni e gli Adriani Sofri, le damine e i cicisbei della più imbecille intellighenzia radical chic l'ha fatta fuori dal vaso umiliando gli italiani." ("Ma Battisti libero è un rospo che non si può ingoiare" il Giornale 31.12.10)
"Ho indagato sui PAC e vi dico che non ha mai subito persecuzione né la rischia ora", giura, sul Riformista 31.12.10, il magistrato Guido Salvini, spiegandoci che "Battisti uccideva i negozianti e le guardie penitenziarie che gli erano antipatiche". Sic. E poco importa che le intenzioni politiche dei PAC siano affermate dalle sentenze di condanna emesse per 'finalità di terrorismo', egli sa pure che "Il Brasile ha una storia lunga ed anche recente di banditismo giustizialista, soprattutto rurale, i cui protagonisti erano pseudogiustizieri al confine tra crimine e ribellismo politico e alcune volte ottenevano, come i nostri briganti, anche ammirazione." Questo spiegherebbe, secondo lui, la decisione di Lula (che dunque non sarebbe un ex-operaio metalmeccanico, ma un cangaçeiro): è "la cultura da cui proviene".
Gli fa eco su l'Unità 3.1.11 il Prucuratore capo di Torino Giancarlo Caselli: "Sono i fatti a dire che Battisti è un criminale comune, responsabile di quattro omicidi, per i quali è stato condannato all'ergastolo in vari processi. Come si può parlare di motivazioni politiche...".
Il mantra del "Delinquente comune" ("Il peggiore di tutti - il disprezzo degli ex compagni di lotta" titoli di Libero 31.12.10) pervade stampa e dichiarazioni di destra e di sinistra. Come ciliegina decorativa, i commenti di alcuni ex-guerriglieri riciclatisi con pentimento o dissociazione, quasi che l'attributo di criminale comune valesse solo per Battisti e non anche per loro, secondo gli stessi media a cui offrono le loro dichiarazioni.
Giustizia o verità
"Gli anni di piombo non sono stati una guerra civile. Sono stati una storia criminale, come gran parte della storia d'Italia." conclude Barbara Spinelli la sua tirata contro "l'ignoranza militante" su la Repubblica 5.1.11.
A una storia criminale può corrispondere solo una giustizia penale. La sola verità che si può affermare, con questa visione, è la verità giudiziaria: un costrutto che basato esclusivamente sugli atti di una specifica procedura formale, dove ciò che conta è che i fatti accertati siano appena 'verosimili'. Questo modo di costruire la memoria offre alle vittime, che esalta e pone al centro della prospettiva, solo una possibilità di 'giustizia' nel senso di punizione dei condannati, ma nessuna possibilità di verità, nel senso di comprensione degli accadimenti, delle dinamiche e delle ragioni in campo negli 'anni di piombo'.
È, questa, la politica della memoria della sinistra perdente in Italia.
In Brasile, la sinistra vincente segue una politica della memoria che ha fondamentalmente accettato di non ricorrere alla giustizia penale, in forza dell'amnistia del 1979 che impedisce il perseguimento dei 'terroristi' come degli uomini di Stato, ma ha messo in piedi un apparato capace di dare ascolto alle vittime, di riconoscerle come tali e di risarcirle nella misura del possibile, spesso con un vitalizio. La 'Carovana dell'amnistia', coordinata dal Ministero di giustizia, tiene da anni udienze pubbliche in tutto il paese, ed ha potuto approfondire e deliberare migliaia di casi individuali.
Certo, la discussione è ancora aperta sull'eventuale revisione dell'amnistia -la tortura, si sostiene, è un crimine di lesa umanità e perciò i torturatori non dovrebbero restare impuniti- ed è possibile che la nuova Presidente, Dilma Rousseff, intervenga con delle iniziative concernenti i desaparecidos (i militanti arrestati e e poi eliminati in segreto), mentre viene rilanciata la proposta di una 'Commissione per la verità'. Ma si tratta di un dibattito normale nell'alveo di una giustizia di transizione, un concetto che l'Italia è lungi dal considerare.
Se gli 'anni di piombo' non furono niente più che una quantità eccessiva di delinquenti che sparavano, non c'è niente da transitare, a parte i tre famigerati scalini all'ingresso del carcere di Regina Coeli.
E sul caso Battisti la sinistra perdente, ebbra di giustizialismo, non si distingue certo per la moderazione dei toni. Alla pubblicazione sul Manifesto di un'intervista, fatta da un giornale brasiliano a Cesare Battisti, seguono commenti feroci, tra cui quello di Alberto Asor Rosa:
"Passiamo il nostro tempo da quindici anni a questa parte a sostenere l'azione della magistratura contro i mascalzoni, i ladri, i depravati sessuali che oggi sono al potere nel nostro paese, e dobbiamo leggere proprio sul manifesto e assistere inerti alle accuse infamanti che questo mentecatto-delinquente riversa su di essa?" (Qui il testo, con la replica di Maurizio Matteuzzi che aveva pubblicato l'intervista di quello che ricorda essere "un personaggio umanamente e politicamente spregevole").
Sicché il Manifesto passa a pubblicare un articolo di Armando Spataro, il magistrato 'cacciatore di Battisti', che se la piglia con la scrittrice francese Fred Vargas e gli "amici dell'assassino", rei di diffondere falsità e di insultare la santa magistratura italiana, sempre premettendo come verità "numero 1" che Battisti è un criminale comune.
Se la sinistra perdente ed i magistrati-giustizieri che meglio la rappresentano sono anche in questo indistinguibili dalla canaglia fascista, chi ne esce con un bell'atto di comunicazione è Silvio Berlusconi, che dichiara: "Mi sono fatto l'idea che Battisti sia un vero delinquente". Il capo del Governo italiano -che, contrariamente a quanto si crede in Brasile e in Francia, non si è mai esposto sul caso, verosimilmente fiutando il cattivo affare e i rischio di sconfitta e mandando altri a bruciarsi- mette in scena con una frase la propria ponderata distanza, la ragionevole convinzione cui è infine arrivato senza voler essere giudice...
Criminale lui, criminali tutti
La campagna italiana si articola in ondate -nessun soggetto può tenere stabilmente l'agenda dei media senza novità che alimentino il discorso- attorno alle scadenze e ai passaggi dell'affaire politico-giudiziario.
Ai picchi d'attenzione seguono periodi di silenzio, e in quello precedente al dicembre 2010 c'è chi ha lavorato ad alimentare ed orientare la campagna. Le edizioni Sperling &Kupfer hanno pubblicato un libro che Giuseppe Cruciani ha esplicitamente dedicato a "Gli amici del terrorista. Chi protegge Cesare Battisti?".
La tesi del titolo, il presupposto che Battisti (che ha completato il quarto anno di carcere), 'goda di protezioni', appare ovvio all'autore, che è un'importante paladino della campagna, già tra i più attivi negli interventi radiotelevisivi. Sul testo, benché degno della Pattumiera, si rimanda volentieri alla recensione di Carmilla, i cui autori sono i primi chiamati in causa e stigmatizzati dal Cruciani.
Chiariscono bene il motivo di questa pubblicazione-lampo, che si vuole enciclopedia dell'anti-battistismo (il 'battistismo' è il fenomeno che preoccupa assai l'autore, e contro il quale si scaglia), le parole introduttive di Cruciani: "Questo scritto su Battisti nasce da un'ossessione." (pag. 5).
Anche senza la confessione, non si ha difficoltà a capire che questa è l'unica chiave di lettura possibile del suo libro, che ha più della requisitoria-sfogo che del pamphlet (il giornalismo qui, c'entra assai poco). Ossessionato mica da Battisti-mostro, il suo fantasma è più grande ed insidioso, è la nebulosa tossica dei "suoi fiancheggiatori", quelli che "propalano menzogne in tutto il mondo".
La sua posizione di enunciatore è, al contrario, quella del condottiero di una battaglia per la verità, che porta la giustizia evocata direttamente dai morti.
Non è solo retorica se Cruciani non le cita come tutti gli altri, le vittime, perché lui le raggiunge sulla linea diretta: "Avete sentito, cari Campagna, Sabbadin, Torregiani e Santoro?" tuona a pagina 110 (contro, chissà perché, un articolo di Andrea Leoni riportato qui xxx). "Cercate di capire, c'è stata una guerra, chi è morto ormai è morto, smettetela con questa storia dell'estradizione. Lasciate campare in pace lo sconfitto."
Come nell'articolo citato sopra di Barbara Spinelli, gli unici due modelli di memoria in campo sono gli anni '70 come una 'guerra civile' o come una 'storia criminale', e questa sembra essere una posizione dominante sui grandi media italiani.
L'altro grande asse polemico è quello che porta a reagire all'accusa di 'fascismo' -cui hanno contribuito gli strafalcioni di alcuni scrittori francesi, che così non han certo aiutato Battisti- con un'esaltazione della 'democrazia' italiana che va sino a negare le leggi d'eccezione, e che riesce a far supporre l'Italia degli anni '70 come una patria dei diritti dell'Uomo (un contesto che rende ingiustificata qualsiasi violenza politica, rafforzandone la lettura di agire criminale).
Il discorso di Cruciani, stabiliti i ruoli delle vittime e del persecutore, dipinge un destinatario pronto a mobilitarsi contro l'ingiustizia, e gli offre un argomentario di prove d'accusa e un programma d'azione. Ma contro chi dovranno rivolgersi, i volonterosi lettori di questo libro? La scelta è vasta, ognuno vi troverà qualcosa a suo gusto.
Il primo capitolo del libro di Cruciani s'intitola: "La lista della vergogna. Quelli che firmarono per il terrorista, da Evangelisti a Carlotto." Li tira dentro tutti, Cruciani, quelli che hanno, anche solo per un momento, espresso dubbi o manifestato timori o solidarietà.
Sono tutti parte di una rete, ch'egli pretende di descrivere e denunciare, prodotta dal lavoro di lobbying di Battisti.
Il quale deve avere una visione strategica straordinaria, se non proprio una palla di vetro che scruta il futuro: "Sapeva, soprattutto, che avrebbe incrociato sulla sua strada Tarso Genro, il ministro della Giustizia carioca [sic] che vuole dare lezioni di democrazia all'Italia" (p. 174. Poche righe più avanti, ricorda che Battisti fu arrestato "due giorni dopo" la nomina di Tarso Genro! Era tutto previsto, grazie alla lobby tentacolare, il compagno Cesare era in attesa del segnale del compagno Tarso per farsi beccare).
Il 'battistismo' da combattere comprende intellettuali, artisti, politici, avvocati, detti fan, sostenitori, protettori, pretoriani di Battisti, amici dell'assassino, fiancheggiatori del terrorista e volentieri chiamati "gauche caviar" (quando si dice l'ossessione!).
Sono italiani e francesi, i manipolatori della verità, e ora anche brasiliani; ma il noi di Cruciani è l'Italia schierata con le sue istituzioni minacciate. "Ci vogliono dare lezioni di storia. Parlano (a vanvera) di civiltà e di diritti dell'uomo. Dicono che i nostri magistrati e i nostri poliziotti peggio delle squadracce che hanno avuto in casa negli anni del regime militare." (pag. 187)
Abbondano le castronerie sul diritto brasiliano, che Cruciani legge e traduce come gli serve: il ministro Genro "Straparla di 'pentitismo remunerato' come di uno stravolgimento del diritto (mentre Mutti non è mai stato pagato dallo Stato)". Per lui, "delação premiada" significa "pagare", e non invece premiare il delatore con sconti di pena e rapida libertà; preferisce non sapere che le “disposizioni premiali” del diritto italiano sono difese dal giudice federale Peluso nel suo 'relatorio' sull'estradizione di Battisti.
Cruciani non ha bisogno neppure di leggersi dei documenti come quello, non è mai stata questione di capire, di spiegarsi il fenomeno, o di convincere qualche scettico. La sua tesi sulla rete di amici del terrorista non deve dimostrarla a nessuno.
Il lettore che si è sopportato le 235 pagine di arringa, era già convinto in partenza, ma ne esce senz'altro più incazzato, e con un po' di nomi con cui prendersela.
"La lista della vergogna", ecco l'idea: tutti quelli che hanno firmato per Battisti vanno boicottati.
Il sito internet del sindacato di polizia COISP (Coordinamento per l’Indipendenza Sindacale delle Forze di Polizia) lancia allora "un'azione di boicottaggio civile all'acquisto di libri, dischi, giornali di quei [sic] scrittori, critici, letterari che hanno sostenuto e richiesto la liberazione del terrorista. Si allega la lista." La lista, è quella dei firmatari di un appello di cui non v'è più traccia. La notizia viene ripresa dalla stampa (p.es. Libero 4.1.11) e ci sono siti internet e blog che la rilanciano, via banner come quello riprodotto in immagine (si noti l'uso della definizione 'compagni di merende' che si riferisce ai complici del serial killer detto 'mostro di Firenze').
Si passa all'azione. Se del 'boicottaggio' individuale non si ha traccia (vai a sapere se e come la firmataria Olimpia Casotti studentessa di Santarcangelo sia stata 'boicottata'?), accede alle luci della ribalta una mozione del partito di governo al Comune di Venezia che, concentrando falsità e volgarità malamente raccolte sulla stampa, fa una selezione di nomi di firmatari da mettere all'indice come "coloro i quali hanno mortificato le aspettative di giustizia da parte dei familiari delle vittime di Battisti":
"Marco Philopat, Luigi Bernardi, Elia Spallanzani, Valerio Evangelisti, Domenico De Simone, Christian Raimo, Tiziano Scarpa, Nicola Baldoni, Alessandro Mazzina, Alessandro Bertante, Lello Voce, Massimo Carlotto, Giuseppe Genna, Nanni Balestrini, Catalano, Michele Monina, Stefano Tassinari, Giovanni Zucca, Sandrone Dazieri, Giorgio Agmben, Mauro Smocovich, Enrico Remmert, Rossano Astremo, Gianfranco Manfredi, Tommaso Pincio, Pino Cacucci, Simone P. Barillari, Ray Luberti, Monica Mazzitelli, Francesco Cirillo, Fausto Giudice, Massimiliano Governi, Giovanni De Caro, Dario Voltolini, Roberto Saporito, Antonio Moresco, Enzo Fileno Carabba, Luca Masali, Vittorio Catani, Girolamo de Michele, Cristina Brambilla, Laura Grimaldi, Gabriella Fuschini" [sulle presenze/assenze di certi nomi, si veda qui]
I nuovi censori, sostenendo che "la decisione del Governo brasiliano è ritenuta fortemente offensiva per le motivazioni addotte che etichettano l’Italia come un paese non democratico, privo di regole di diritto e gli Italiani come un popolo barbaro assetato di vendetta" (affermazione radicalmente falsa, e che paradossalmente diviene una conferma proprio delle motivazioni della decisione) argomentano:
"Nessuno deve impedire il sacrosanto diritto per i cittadini di acquistare e leggere i libri che preferiscono di qualsivoglia autore, tuttavia le biblioteche civiche acquistano i libri con i soldi pubblici, soldi che arrivano anche dalle tasche dei familiari di Antonio Santoro, Pierluigi Torregiani, Lino Sabbadin e Andrea Campagna"
Ecco, l'interesse degli eredi delle vittime prevale sull'interesse pubblico, in barba al divieto di discriminazione (per ragioni di-razza-di-religione-di-sesso-di nazionalità-di-lingua, e di opinioni politiche) e in loro nome si pretende che le biblioteche pubbliche e le scuole eliminino i libri dei "banditi", che vengan loro negate le sale pubbliche per dibattiti o altre iniziative.
La lista -"della vergogna", secondo l'indicazione di Cruciani- è diventata bando. Il dubbio è convertito in complicità, la solidarietà è trasfigurata in correità. Poco importa che nessuno dei firmatari, né l'appello (comunque cancellato dalla memoria) che hanno firmato, abbia mai sostenuto l'innocenza di Battisti (sembra anzi che ciò rappresenti un motivo supplementare), sono e saranno "i filobattisti da boicottare": banditi.
Questa vicenda mostra esemplarmente come la criminalizzazione della storia si accompagni alla criminalizzazione della cultura e del dissenso.
Contro il "rogo di libri" c'è stata reazione, nazionale ed internazionale, e se il COISP finge di distanziarsene senza smentire nulla (La Nuova Venezia 18.1.11), lo scrittore Antonio Tabucchi lo considera un'iniziativa "intollerabile" (La Repubblica 20.1.11). Come la Spinelli (che non risulta aver preso posizione contro la censura, benché il su articolo figuri nell'argomentario dei censori, cfr. il Gazzettino), Tabucchi aveva pubblicato, su Le Monde del 15.1.11, un articolo intitolato "Battisti, un colpevole", con lo stesso senso del lavoro di Cruciani, e simile nel disprezzo degli 'intéllos' francesi.
Vi sosteneva, senz'ombra di prova, che Battisti, dopo aver "abusato" della dottrina Mitterrand (abusato? era stato arrestato già nel 1991, la sua estradizione era stata respinta dalla magistratura francese) era stato dichiarato "rifugiato politico" perché "collaborava coi servizi segreti francesi ai quali vendeva il terrorismo internazionale". E ripete con il coro "non c'è mai stata una guerra civile, quelli delle Brigate Rosse erano degli assassini", dando a credere che i rifugiati italiani siano tali perché si presentano come eroi romantici. E quando gliene si chiede conto, "si irrita decisamente", e "alza un po' la voce Tabucchi. «Proprio non vedo il nesso tra le opinioni espresse su un giornale e un'iniziativa odiosa che va condannata, punto e basta»".
Il nesso che non vuole vedere: che questa forma sordida di stigmatizzazione e di esclusione sia il risultato di un processo comunicativo che forma le opinioni nel discorso pubblico. E che chiunque vi contribuisca -come lui- dipingendo un ritratto in bianco e nero, non ha da stupirsi se qualcuno ne trae una conclusione 'tutta nera'.
I motivi della decisione
Se le reazioni alle iniziative censorie hanno oscurato, sulla scia di Tabucchi, il nesso con la campagna per l'estradizione di Battisti, resta costante l'incomprensione condivisa quanto alle ragioni del Brasile.
A cominciare dai più prudenti: Lula si crede Mitterrand, sentenzia Marc Lazar, lo storico francese arruolato contro gli intellettuali del suo paese che difendono Battisti ("qualunque sarà la decisione su Battisti" La Stampa 31.12.10).
Ci sono poi letture dietrologiche ("Vendetta economica dietro lo schiaffo del Brasile" Libero 30.1.11) ed analisi completamente sbullonate, come quella di Massimo Fini (il Fatto quotidiano 4.1.11), che cita il Messaggio che accompagna il Parere dell'Avvocatura Generale dell'Unione (definendolo "favorevole all'estradizione"?!): "Non si deve tralasciare di riconoscere che lo Stato italiano è indiscutibilmente uno Stato democratico di Diritto e che le sue decisioni devono considerarsi espressione della volontà dei propri cittadini" per dire che se l'hanno scritto è perchè è vero il contrario, visto che Adriano Sofri, condannato a 22 anni, ne ha scontati solo 7.
Lanfranco Pace su il Foglio 4.1.11, Perché il Brasile non ha torto a diffidare della giustizia italiana :
"Non si è mai trattato da parte degli altri paesi di stabilire se gli assassini siano simpatici o meno, pentiti o meno del loro crimine." Giusto, ed è giusto ripeterlo, "Ma", continua, "solo se l'ordinamento italiano sia compatibile con l'idea che hanno di ordinamento democratico, se vi siano stati eccessi di legislazione speciale, se i processi avvengano in tempi ragionevoli, dando tutte le garanzie agli imputati, se i tribunali siano giusti, le condanne motivate da prove che non siano solo circostanziali, le sentenze scritte in modo chiaro." E qui non si sa più di cosa stia parlando. L'argomentario potrebbe essere riferito, in modo assai poco preciso, alla decisione del Ministro Tarso Genro di concedere il rifugio politico a Battisti, non alla decisione di Lula di non eseguire l'estradizione.
Insomma se ognuno fa dire alla decisione ciò che gli serve, senza averla letta (con la sola eccezione di un articolo di Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera) vale riportarsi dunque direttamente al cuore del Parere, al paragrafo 106, pag.41 delle 64 che lo compongono:
106. Nell'espletamento della Decisione del Tribunale Supremo, ossia nel giudizio di adeguamento, o meno, all'accoglimento della domanda di estradizione nei termini del Trattato, il Signor Presidente dovrà tenere conto del condizioni poste alla lettera f, par. 1 dell'art. 3 del Trattato Brasile/Italia, nel senso che l'estradizione non sarà concessa se la Parte richiesta ha serie ragioni per ritenere che la persona richiesta verrà sottoposta ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali; o che la situazione di detta persona rischia di essere aggravata da uno degli elementi suddetti.Advocacia Geral da Uniao - Parecer Caso Battisti 29.12.10
107. Quella circostanza, imperniata sull'aggravamento della situazione personale, che l'estradando potrebbe subire in territorio italiano, può essere identificata su due piani. Mi riferisco alle constatazioni che la stampa italiana ha fatto della situazione, come pure alla linea argomentativa della difesa dell'estradando, che venne accolta nei termini proposti da alcuni Ministri del Supremo Tribunale Federale.
108. Per esempio, il Ministro Marco Aurelio registrò nella sua decisione che le sentenze italiane che condannano l'estradando fanno 34 riferimenti al movimento di sovversione dell'ordine dello Stato. Il Ministro Marco Aurelio avrebbe riconosciuto come rilevante l'affermazione della difesa dell'estradando, basata sulle circostanze seguenti:
a) il Presidente della Repubblica Italiana avrebbe espresso profondo stupore e disappunto nella lettera indirizzata al Presidente del Brasile
b) il Ministro degli Esteri italiano esprimeva denuncia e sorpresa sui fatti
c) il Ministro di Giustizia italiano avrebbe accennato alla possibilità di intralciare l'accesso del Brasile al G8
d) il Ministro della Difesa italiano avrebbe minacciato di incatenarsi all'ingresso dell'ambasciata brasiliana in Italia
e) l'ex-Presidente della Repubblica italiana avrebbe affermato che il nostro ex-Ministro della Giustizia brasiliana avrebbe detto stupidaggini
f) il Ministro italiano per gli Affari europei avebbe considerato vergognosa la decisione del Governo brasiliano
g) il vice-Presidente italiano avrebbe proposto un boicottaggio dei prodotti brasiliani
h) il vice-Presidente della Commissione degli affari esteri avrebbe suscitato un boicottaggio turistico del Brasile
109. A corroborare la percezione del Ministro Marco Aurelio, vi sono manifestazioni della stampa italiana che danno l'impressione che il caso abbia aquisito contorni di clamore e di polarizzazione ideologica. Preoccupa ciò che può sollevarsi contro l'estradando, il futuro si annuncia incerto e pieno di difficoltà.
110. Non si esprime alcun dubbio sulle perfette condizioni democratiche che attualmente vigono in Italia. Ci si occupa soltanto del riconoscimento della circostanza, innegabilmente evidenziata, di quanto attiene la situazione personale di Cesare Battisti. È proprio il pieno convincimento che in Italia viga un rigoglioso regime democratico ad autorizzare che si intuisca che la situazione dell'estradando possa essere aggravata dalla sua condizione personale.
111. l'11.1.2010 il Presidente dei senatori del Partito Popolo della Libertà avrebbe, su Italia chiama Italia dichiarato che la decisione brasiliana sul rifugio a Battisti si farebbe beffe dell'Italia, con conseguenze nefaste sui rapporti tra Italia e Brasile.
112. Il 14.1.2010 La Repubblica divulgò che ci sarebbe disillusione ed insoddisfazione delle autorità italiane per la decisione brasiliana, con conseguente ripudio e disapprovazione; la nostra posizione costituirebbe un grande errore, nella visione del vice-Ministro degli Interni italiano [si tratta di Marco Minniti, che il giornale definisce 'ministro-ombra' ndt]. Un membro del partito democristiano avrebbe affermato, sempre secondo la Repubblica, che la nostra decisione manifesterebbe un insulto alla storia e alla dignità dell'Italia [si tratta di Luca Volonté dell'Udc, ndt].
113. Il tempo del 24.11.2009 informò che il Ministro Tarso Genro avrebbe affermato che le dichiarazioni delle autorità italiane confermavano i sospetti che il caso fosse effettivamente politico, per cui gli avvocati dell'estradando avrebbero potuto formalizzare una domanda di asilo.
114. Lo stesso quotidiano pubblicò, quattro giorni prima, il 20.11.2009, che Daniel Cohn-Bendit, leader dei movimenti del 1968, avrebbe affermato che l'estradizione di Battisti sia necessaria, ma che egli avrebbe dovuto essere sottoposto ad un nuovo giudizio. Nello stesso giorno e giornale http://www.iltempo.it/politica/2009/11/20/1095648-abbiamo_chiesto_rispetto.shtml, si esigeva che il Presidente del Brasile estradasse Battisti perché l'Italia reclama giustizia e rispetto e non vendetta.
115. Su Mazzetta del 20.11.2001 la questione fu inquadrata a partire da un presunto orgoglio brasiliano, che deriva da una nuova proiezione internazionale che occuperemmo, con il caso Battisti legato al caso Cacciola.
116. Il Secolo XIX del 19.11.2009 informava che il Presidente della repubblica Italiana Giorgio Napolitano esortava il Brasile a estradare battisti perché si chiedeva giustizia per le vittime.
117. Il Quotidiano del 19.11.2009 pubblicò che Ignazio La Russa si sarebbe riferito ai parenti delle vittime, che avrebbero avuto un certo sollievo dopo la perdita dei loro cari -- una sentenza diversa sarebbe orribile.
118. Su Il tempo dello stesso giorno, 19.11.2009 apparve la notizia che il Ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, avrebbe fervorosamente celebrato la notizia dell'imminente estradizione.
119. Sul Quotidiano, pure lo stesso 19.11.2009, il Ministro degli esteri italiano affermò che l'eventuale estradizione di Battiti 'segna la fine di una profonda amarezza dell'opinione pubblica italiana'.
120. Il Corriere della Sera, pure del 19.11.2009, annotava che l'imminente estradizione faceva piacere al governo italiano. Il 18.11.2009 Il Secolo XIX riportò l'affermazione del figlio di una delle vittime, che riteneva che Battisti debba soffrire una 'giusta pena'; poiché ha 51 anni, dovrebbe rimanere detenuto ancora 30 anni, cioè sino agli 81 anni d'étà.
121. Su Il Tempo del 16.11.2009 si da notizia che tre fondatori del Movimento per l'Italia entrano in sciopero della fame, come manifestazione per l'estradizione di Battisti. Intendevano celebrare la memoria offesa delle vittime di questo infame assassino. Sullo stesso giornale, nell'edizione del 14 novembre, si riportava che il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Gianni Letta, lasciava trasparire 'la speranza di vedere l'ex-terrorista dietro le sbarre'.
122. Lo stesso giornale pubblicò, il 13.11.2009, che il Ministro dell'Interno, Roberto Maroni, avrebbe affermato che Battisti 'è un pericoloso criminale che deve scontare la pena a cui è stato condannato'.
123. Sul Corriere della Sera del 10.11.2009 si riferisce che il Ministro della Difesa Ignazio La Russa avrebbe affermato che non accetterebbe di dibattere con Battisti, che avrà la sua attenzione quando sarà nelle patrie galere.
124. I riferimenti sopra parzialmente riprodotti, a titolo di esempio, mostrano l'esistenza di uno stato d'animo che giustifica le preoccupazioni per la concessione dell'estradizione di Battisti, perché lasciano supporre un aggravamento della sua situazione personale. Viene spesso ribadito l'obiettivo di farsi 'giustizia per le vittime'. Il diritto processuale contemporaneo ripudia questa percezione criminologica, e il referente teorico è un autore italiano, Luigi Ferrajoli. Il fondamento della pena è (o deve essere) la reintegrazione del reo alla vita sociale.
125. Gli estratti di stampa sopra richiamati mostrano l'esistenza di emozione politica a favore dell'incarcerazione di Battisti. È innegabile che quel clima, fedelmente descritto dalla stampa della penisola, sia brodo di coltura che giustifica i timori quanto alla situazione dell'estradando, che ne sarebbe aggravata.
126. In questo senso, le informazioni sopra riprodotte giustificano che sia negata l'estradizione, proprio in forza delle disposizione della Convenzione. Il Presidente della Repubblica applicherebbe il disposto della lettera f, punto primo del Trattato di Estradizione formalizzato da Brasile e Italia. Ed ha competenza per questo. Ciò che al Presidente del Brasile sarebbe vietato, è la concessione dell'indulto (che non è qui ipotizzata) secondo la decisione Ext736/Repubblica Federale tedesca, relatore il Ministro Sydney Sanches, nel giudizio del 10 marzo 1999:[segue estratto della sentenza, ndt]
Va osservato subito che la selezione di stampa, proposta a titolo di esempio e comunque ristretta a pochi giorni di novembre 2009 e gennaio 2010, non tematizza la campagna di stampa, non si occupa delle opinioni dei giornalisti e del loro modo di presentarle.
I giornali sono considerati come mezzi che riportano le informazioni ("fedelmente"!), e sono queste ad essere viste come allarmanti, poiché sono espressioni di persone rappresentative di istituzioni. Ciò per ovvio rispetto del principio della libertà di stampa e di opinione, poiché nello spazio pubblico democratico è garantito il diritto di esprimere un'opinione contraria.
Non vi è censurata la campagna colpevolista, né lo sono le personalità citate, né lo sono gli insulti, le volgarità e le falsità giornalistiche.
Sono sottolineati invece i tentativi di ingerenza, le espressioni di ostilità e di sorprendente gravità provenienti da politici e rappresentanti istituzionali italiani di ogni grado.
I segnali parlano chiaramente di una situazione, creatasi intorno al caso Battisti, che trascende la 'normalità'. Cosa innegabile, a maggior ragione quando l'Italia stessa ha fatto della domanda d'estradizione di un 'criminale comune' un affare di Stato con il ritiro dell'ambasciatore e con varie pressioni diplomatiche, come è innegabile che sia cresciuto in favore dell'incarcerazione di Battisti un clima di "emozione politica".
E questo basta davvero a far supporre che la situazione di Battisti in Italia potrebbe ulteriormente aggravarsi per motivi 'politici' (la politica è questa). Non serve immaginare in che modo, è il clima in sé che può far da "brodo di coltura" a una qualsiasi discriminazione di Battisti solo perché Battisti.
C'è qualcosa che non va, in questa ossessione giustizialista italiana, che fa scudo e strumento delle vittime. Tanto che il Parere ricorda (124), che il diritto processuale ripudia l'idea di 'farsi giustizia per le vittime'. Non va qui, per questo caso.
La critica dei tentativi italiani di ingerenza nella sovranità brasiliana è del tutto legittima.
Non lo sarebbe -perché metterebbe in discussione la sovranità italiana- se riguardasse la fondatezza delle accuse e la legittimità della condanna alla base dell'estradizione. Questo il parere dell'AGU lo esclude apertamente, in rispetto alla decisione del Supremo Tribunale Federale.
La sentenza del Supremo aveva escluso altresì che nel caso di Battisti si riscontrino 'serie ragioni per ritenere che la persona richiesta verrà sottoposta ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali' poiché ha cassato la decisione del Ministro di Giustizia che su quelle si fondava. Il tenore è infatti apparentemente analogo a quello della Legge sul rifugio, che aveva fondato quella decisione e che parla di "fondati timori di persecuzione".
La differenza, a prima vista sottile, su cui si fonda la decisione presidenziale, è quella tra la prima e la seconda parte dell'art. 3, lettera f del Trattato; come si vede sopra, al punto 106, dove è stata messa in grassetto, la seconda parte è alternativa alla prima. Non si tratta quindi della eventualità che Battisti sia sottoposto ad atti persecutori o discriminatori, ma, più semplicemente, che la sua situazione possa essere aggravata. Non si tratta di un cavillo: con quella formulazione gli Stati contraenti si sono garantiti reciprocamente un margine di discrezionalità che è quello proprio all'idea di sovranità di ognuno dei due. Il Trattato bilaterale firmato dall'Italia prevede esattamente quell'eventualità, come si può parlare di mancato rispetto degli accordi e addirittura dell'Italia e della sua giustizia?
Napolitano, Brasilia non è Addis Abeba
La questione della sovranità ha assunto un ruolo determinante in questa vicenda. Chi avesse la pazienza di rileggersi i comunicati brasiliani, compreso l'ultimo della nuova Presidente Dilma Rousseff, la troverebbe sistematicamente citata. Ed è stata sistematicamente ignorata dagli italiani, a cominciare dal Presidente Napolitano.
Fu lui che aprì ufficialmente la campagna italiana per l'estradizione di Battisti con una lettera al Presidente Lula, diffusa alla stampa ancor prima di consegnarla, il quale (si veda Tutti pazzi per Battisti? nei primi paragrafi ) gli rispose ufficialmente richiamando l'Italia al rispetto della sovranità; ma niente, anzi ora recidiva con una nuova lettera al Brasile (e le rivendicazioni del suo responsabile stampa: Panorama 20.1.11). Dichiara "incomprensibile che siano state ignorate le ragioni di un'onda di sdegno in tutte le forze politiche italiane". E così conferma che c'è un'onda anomala: proprio quella che, quali che siano le sue buone ragioni, potrebbe travolgere Battisti, secondo le motivazioni dell'AGU.
Gli è "incomprensibile" la ragione del Brasile, e si dichiara poi incompreso, "non ci siamo fatti capire dal Brasile".
Che invece ha capito benissimo. Cos'altro intendere, se un Presidente della Repubblica arma un tale rambazamba per l'estradizione di un delinquente comune, e si fa portavoce di "un'ondata di sdegno di tutte le forze politiche italiane", se con che vuole influenzare le decisioni di autorità sovrane brasiliane? Gliel'han declinata in tutte le salse, la soberanìa, stentando molto, è vero, capire il disinteresse italiano a questo principio, e continuando a patirne il disconoscimento dovuto ai tentativi di ingerenza italiani.
La sovranità, intesa come il potere di un collettivo di realizzare la condizione di autosufficienza del gruppo sociale che lo esprime, è un valore importante agli occhi dei democratici brasiliani, che non mancano di proclamare la "vocazione storica del Brasile alla sovranità".
E Napolitano spiega ai brasiliani che il terrorismo peggiore è "quello ispirato da una sedicente sinistra rivoluzionaria". Che vuol dire sedicente? È una tipica espressione all'insegna del motto stalinista "pas d'ennemis à gauche", specialmente adottata dai dirigenti del Partito Comunista Italiano (PCI), qual'era Giorgio Napolitano, per screditare i movimenti extraparlamentari di sinistra: negli anni '70. Anche Napolitano è "fermo lì", a confermare quanto ebbe a dire Tarso Genro.
La prima pagina di Libero 9.1.11 |
In Brasile, non ci si permette di usare il termine caro alla dittatura per sterminare l'opposizione, e neppure i nostalgici ardiscono più di tanto. Terroristi erano quelli che si potevano torturare sino alla morte.
Questo sta evocando il giornale italiano.
Dilma Rousseff fu arrestata e torturata, perché militante di un'organizzazione della 'sedicente sinistra rivoluzionaria' che praticava la lotta armata clandestina, e dunque terrorista. In Brasile come in Italia, la guerriglia urbana comunista non andò oltre la propaganda armate e venne sconfitta.
Le parole di Napolitano sono arrivate con le offese del Governo italiano. Rintuzzate immediatamente da un comunicato ufficiale:
Il Governo brasiliano manifesta il suo profondo disagio per i termini della nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano, ed in particolare per l'impertinente riferimento personale al Presidente della Repubblica.La protervia condivisa da ciò che viene dall'Italia è percepita come memoria coloniale, e un editoriale di Brasil de Fato intitolato Napolitano e Berlusconi, Brasília não é Addis Abeba, conclude "Battisti non è solo Battisti. E non lo vede solo chi non vuole."
A spiegare ai brasiliani "l'incomprensione" del valore della sovranità, basterebbe la concezione usa-e-getta che ne ha Franco Frattini, maestro di sci e all'occasione Ministro degli Esteri italiano (come tale, sommo responsabile delle relazioni diplomatiche tra Italia e Brasile nell'affare Battisti), che, due giorni dopo aver evocato il diritto alla sovranità, non per Addis Abeba ma per Tripoli, la manda, sovranamente, a bombardare.
Flash-back: il caso Ronald Biggs
La ragione 'sovrana', la ragione per cui si invoca la sovranità, cioè un atto politico puro, è il braccio di ferro con una potenza straniera.
E, a quelli che han chiesto, con più arroganza che autorevolezza, se il Brasile avrebbe mai "osato un simile trattamento" nei confronti di altri paesi europei, va detto che, sì, il Brasile, come qualsiasi altro paese dove vige lo stato di diritto, ha respinto e respinge domande di estradizione. E proprio in un braccio di ferro sulla non-estradizione di un cittadino britannico verso la sua patria, dov'era condannato a 30 anni di reclusione, il Brasile ha "osato" di più.
Ronald Biggs è il più famoso dei 15 autori del 'colpo del secolo', la rapina al treno Glasgow-Londra che, nel 1963, fruttò un bottino di 2,6 milioni di sterline, rimasto a lungo un memorabile record. Tutti, compreso Biggs, vennero arrestati un anno dopo. Biggs riuscì ad evadere dopo 15 mesi, fuggendo prima in Australia (1970) e poi in Brasile, dove un reporter inglese -e dunque anche Scotland Yard- lo trovò nel 1974.
L'estradizione venne negata -per mancanza di garanzia di reciprocità nell'accordo con la Gran Bretagna- e anche l'espulsione dal paese risultò impossibile, avendo Biggs un figlio brasiliano (argomento, quello del figlio, che non pesava invece contro un'estradizione).
Nel 1981 venne sequestrato, e trasportato in un sacco con su scritto 'anaconda vivente' (da li il nome operazione anaconda) fino a Barbados, antico dominio britannico. Il gruppo che operò quel tentativo di 'extraordinary rendition' ante litteram, era composto da mercenari ex-militari, comandati da Patrick King, che nel film documentario 'Kidnap Ronnie Biggs' lascia intendere che l'operazione aveva un mandato delle autorità, che cosi evitavano di sporcarsi direttamente le mani in quella che si chiama una 'deniable operation'.
Senza sapere se i sequestratori fossero avventurieri a caccia di denaro o di fama (lo stesso Biggs visse a lungo della vendita di foto e reportages, non potendo lavorare) oppure agenti di Sua Maestà camuffati, il Brasile protestò chiedendo la consegna di Biggs e dei sequestratori - questo per il solo fatto che di tutta evidenza era stata violata la sovranità del paese, disconoscendo totalmente il principio internazionalmente riconosciuto che chi sta in un territorio è del territorio.
Il Brasile chiese che gli venisse restituito il sequestrato, perchè, dal momento in cui gli era stata concessa la permanenza nel paese, era passato sotto la protezione della legge brasiliana. Ed era finito a Barbados non in modo libero e volontario, ma quale vittima di un crimine.
A Barbados, Biggs venne arrestato sotto l'assurda accusa di aver violato la legge d'immigrazione. La Gran Bretagna presentò una domanda d'estradizione, facendo una pessima figura poiché così assumeva davanti all'opinione pubblica la responsabilità del sequestro ed ignorava le decisioni brasiliane. Erano i tempi in cui era Primo Ministro Margareth Thatcher, che recitava: "un crimine, è un crimine, è un crimine, è un crimine" (parafrasava Gertrude Stein 'a rose, is a rose...', ma non si riferiva al sequestro). In Brasile, il regime al potere dal 1964 assumeva una fase di "apertura politica" che portò all'amnistia del 1979, al ristabilimento della democrazia e alla nuova Costituzione. Il Brasile che in quegli anni usciva dalla dittatura civile-militare si batté con successo per un principio di diritto pubblico internazionale: la sovranità della nazione. Se si tiene presente quanto i paesi dell'America latina siano stati considerati e trattati da cortile di casa degli Stati Uniti e del 'primo mondo', si può capire quanto l'affermazione della sovranità, del non farsi dettare nulla da nessuno, possa stare a cuore ai popoli di quel continente.
Nella vicenda di Ronnie Biggs, (il 'ladrão regenerado', come lo chiamavano le cronache gossip, restò poi in Brasile sino al 2001, quando si consegnò volontariamente all'Inghilterra, che gliela face pagare salata, scarcerandolo solo quando, nel 2009, era ormai ridotto ad un rottame), non c'erano aspetti politici (egli arrivò al più a registrare dei video con gruppi punk europei, come i Sex Pistols ed i Toten Hosen), né interventi di organizzazioni umanitarie.
Non ci sono altre similitudini col caso Battisti, non ne è un precedente, e ci si deve augurare che non lo sarà. Valga come monito alle istigazioni al sequestro, alla extraordinary rendition di Battisti, che si son viste sbocciare nel furor di popolo, per esempio un senatore della Lega Nord, il giornale del paritito di governo l'Occidentale, il Ministro della difesa, la rivista Limes e l'immancabile gruppo di facebabbei.
Flash-forward: Battisti a passeggio per Roma
Il rifiuto del massimo rappresentante dello Stato di eseguire l'estradizione, che Dilma Rousseff ha confermato, non mette fine, come sarebbe stato normale, al caso.
Il Supremo Tribunale Federale, nella persona del suo Presidente, Cezar Peluso, che fu relatore e sostenitore dell'estradizione, ha deciso che si deve ancora una volta pronunciare.
Ed ha negato la liberazione di Battisti (STF 2.2.11), respingendo le domande della difesa, autodichiarandosi sempre competente, affermando che non v'è urgenza e nominando nuovo relatore: guarda caso, proprio quel Gilmar Mendes che come suo predecessore alla presidenza del STF aveva già fatto l'impossibile per l'estradizione.
All'argomentazione dell'AGU e della Presidenza del Brasile, si tenterà di contrapporre la tesi dell'insufficiente motivazione. Occorrono "razões ponderáveis" per supporre che l'estradato veda ulterioriormente aggravata la sua situazione; e 'ponderabili' per alcuni giuristi brasiliani implica l'idea che le ragioni possano essere misurate o quantificate. La versione italiana del Trattato non conferma questa interpretazione, poiché richiede delle "serie ragioni".
D'altra parte, come misurare se queste siano sufficienti per "supporre" (secondo la versione brasiliana del Trattato, o "ritenere" secondo quella italiana) un aggravamento arbitrario?
Un giurista brasiliano (Thiago Gomes Anastacio, su Consultor Juridico) ha formulato una questione teorica che può permettere di capirlo: "Potrebbe Battisti passeggiare tranquillamente per le vie di Roma?"
Alla domanda (sull'ipotesi che per una ragione x questi fosse estradato e liberato), probabilmente anche Giuseppe Cruciani risponderebbe 'no' (sempre che non abbia un infarto al pensiero).
Che l'istigazione all'odio alimentata dalle incessanti prese di posizione delle autorità italiane possa produrre un caso speciale, un trattamento discriminatorio, è un'ipotesi facilmente accettabile da chiunque. Salvo da chi è ormai preso in una tifoseria insensata. Ci sono molte persone che si sono schierate per l'estradizione di Battisti per un onesto senso di giustizia e di rispetto delle regole comuni e non per odio o antipatia per Battisti, che devono capire che hanno contribuito a creare il paradosso: maggiore è l'attenzione pubblica (negativa) per un condannato, maggiore è il rischio di anomalie e di atti discriminatori. Se solo leggendo (in Italia) dell'eventualità di Battisti a passeggio per Roma si rischia il soffocamento, non ci si può chiamar fuori dicendo 'io non gli farei nulla'. Linciatori sono anche gli spettatori passivi, non solo quello che butta la benzina o insapona la corda.
Il Supremo deciderà dunque in seduta plenaria, e Gilmar Mendes darà fondo alla sua immaginazione giuridica per architettare una proposta accettabile dalla maggioranza. Il punto è che deve dimostrare una violazione del trattato Italia-Brasile, che, come si è visto, è ossequiato dalla Presidenza brasiliana proprio per la parte (il citato art. 3, lett. f) in cui i due Stati democratici si concedono margine al rispettivo potere discrezionale nel valutare il rischio di discriminazione. Per questo dovrà sostenere, come già anticipato da Peluso, una crassa assenza assoluta di motivazioni, insistendo che occorre "provare" il rischio di discriminazioni, perché il Trattato (art. 15 par.1) dice che il rifiuto deve essere motivato; salvo che si tratta qui di una motivazione non giuridica ma empirica, e non si vede come una Corte possa lanciarsi in predizioni e prognosi socio-politiche sull'eventualità o meno che Battisti possa essere discriminato in Italia. È ciò che il Ministro del STF Carlos Britto ha definito "un giudizio soggettivo psichico" che rimanda al "carattere eminente politico dell'estradizione".
Anche le chances rispetto ad un successivo ricorso alla Corte internazionale per violazione del Trattato sono scarse, tanto che pure il parere pubblicato sul sito dell'università Bocconi , è piuttosto pessimista. Se la competenza della Corte dell'Aja è ancora tutta da verificare -e secondo il Ministro del STF Celso de Mello non è data poiché il Trattato Italia/Brasile non menziona l'eventualità di risolvervi una controversia - la strategia di Peluso e Mendes mirerà comunque ad ottenere la decisione la più imbarazzante possibile per il governo di Dilma Rousseff.
Secondo il parere della Bocconi, le motivazioni dell'AGU riprendono le argomentazioni della difesa di Battisti e sarebbero quindi già state "ampiamente rigettate" dal giudice supremo. Già l'ampiamente è bizzarro, quando si pensa che il voto del plenario finì 4 a 4 e fu risolto dal voto decisivo dell'allora presidente Gilmar Mendes; ma non è questo il punto.
Quel dibattito concerneva la Legge del Rifugio, i cui criteri (i 'fondati timori' della presunta persecuzione) sono molto più rigorosi di quelli del Trattato, che chiede di "fare un giudizio di ponderabilità a partire da una supposizione completamente diversa dalla Legge del Rifugio", così ancora il Ministro Carlos Britto, ripreso dal Messaggio (Despacho) che accompagna il Parere dell'AGU.
Sostiene ancora l'autrice del parere, che sarebbe in malafede chiamare "serie ragioni" delle "semplici dichiarazioni e manifestazioni pubbliche" poiché l'ordinamento italiano da solo garantisce contro i rischi di trattamenti discriminatori.
Advocacia Geral da Uniao - Despacho caso Battisti 29.12.10
Il citato Messaggio ricorda (punti 17 e 18) che "passati ormai più di 30 anni dai fatti, la mobilitazione sul caso è notoria e attuale. (...) si constata che gli episodi che coinvolgono l'estradando conservano un'elevata dimensione politica e mobilitano molti settori della società (...). In Italia, le opinioni si polarizzano e concretizzano in vari atti, ad esempio interviste, manifesti e manifestazioni."
Quale che sia su questo aspetto centrale il risultato della discussione nel Tribunale Federale, resterà comunque insuperabile la questione dell'ergastolo, cioè il secondo motivo di rifiuto dell'esecuzione (nel Parere AGU, al punto 11), fondato sull'art 5 let. b del Trattato.
Per l'estradizione dal Brasile, dove è proibita la pena di reclusione perpetua, occorre che l'Italia commuti l'ergastolo in una pena non superiore a 30 anni.
Questo impegno ufficiale è spesso richiesto preliminarmente o contemporaneamente alla domanda di estradizione, mentre nel caso deve ancora essere fatto, e teoricamente, è l'ambasciatore italiano, quale plenipotenziario della missione diplomatica, a poterlo presentare.
Ma, come è noto, una tale commutazione di una pena definitiva è contraria all'ordine pubblico italiano, e niente lascia intendere di una iniziativa italiana su questo punto, pure deliberatamente ignorato dalla stampa, come qualsiasi altra considerazione sul senso della pena. Considerazioni che, anche se probabilmente destinate a non aver seguito, propone invece il Parere dell'AGU (punto 129 e seg.) ricordando che anche con una conversione di pena, l'estradato, che ha più di 50 anni, ritroverebbe la libertà solo in età ben superiore agli 80 anni (e a 60 anni dai fatti). Circostanza, questa, che corrisponderebbe ad un ergastolo di fatto, e dunque discutibile, benché non vi sia giurisprudenza in materia.
Battisti il sans-papiers
Come che sia, potrebbe rappresentare una via d'uscita per Peluso e Mendes, quella di annullare la decisione di Lula per la parte che esprime il primo motivo (il rischio di discriminazione non provato, l'art. 3 let f del Trattato), e rimandare alla Presidente Rousseff in attesa di una risposta italiana sul secondo motivo. In aggiunta, rinvio della scarcerazione e magari questionamento sullo stato di immigrante illegale di Battisti, che come tale dovrebbe essere espulso o costretto a lasciare il paese. Straniero in situazione irregolare, un vero sans-papiers.
In gioco non contano davvero gli interessi italiani; il caso Battisti è in Brasile occasione di uno scontro di poteri, di una disputa tra sovranità giuridica e sovranità politica. Anche se lo stesso plenum del STF ha respinto la tesi di Peluso e Mendes che sarebbe il Supremo ad avere l'ultima parola in materia d'estradizione, quella rientrerà dalla finestra. L'obiettivo politico è quello di mettere in cattiva luce, in posizione imbarazzante, associandola ad un terrorista, la nuova Presidente Dilma, che, fin troppo prudente, ha dichiarato che la decisione tocca al Supremo Tribunale Federale. Il Supremo ha sì battagliato contro la Presidenza Lula, ma contro quella di Dilma non ha ancora aperto il fuoco.
Dovrà tener conto che se quanto avrà deciso e richiesto apparirà a Dilma come avviso o prodromo di un più intensivo controllo di legalità sulle attività della Presidenza, la Presidente non potrà accettarlo.
Un ennesimo paradosso del caso Battisti è che sostenitore e istigatore delle ingerenze del potere giudiziario sull'esecutivo politico brasiliano è proprio il Governo italiano, per il quale l'ingerenza del giudiziario sul proprio potere è invece, in Italia, assolutamente intollerabile.
Sulla mancata scarcerazione di Battisti ha protestato il Governatore dello Stato di Rio Grande do Sul ed ex-ministro di Giustizia Tarso Genro, dichiarando che Battisti, prigioniero politico del STF, è ormai detenuto illegalmente. È evidente a tutti che, negata l'estradizione, non vi sia un motivo legale per protrarre la detenzione.
Come lui, molte personalità e semplici militanti della sinistra sono sensibili e pronti ad opporsi al 'golpe giudiziario', come l'ha definito l'avvocato di Battisti Luis Roberto Barroso.
Per Carlos Lungarzo (Amnesty International), il 'golpe parziale' del Presidente del STF Cezar Peluso è ai danni non solo dell'Esecutivo ma anche dello stesso Supremo, poiché una decisione presa dal suo Plenario viene alterata (il riferimento è alla decisione, approvata 5 a 4, che l'ultima parola sull'estradizione sia del Presidente della Repubblica): cosa che, in linea teorica, potrebbe essere sanzionata, poiché proibita dalla legge, con un 'empeachment' di Peluso.
Se in Brasile c'è dunque una mobilitazione -pur senza l'appoggio di nessuno dei grandi media- politica e non solo 'umanitaria' per un affare che travalica lo stesso Battisti, in Italia, dove si finisce in lista nera se si firma un appello, si sono aggiunte riflessioni fuori dal coro (si veda la lettera di ricercatori italiani all'estero pubblicata da Uninomade, che riproduce anche l'essenziale articolo di Luca Baiada su Il Ponte, o l'editoriale di Franco Piperno su Loop), o voci provocate dal coro medesimo (cfr. articolo sul sito di Sergio Segio, dove si apprende incidentalmente che l'ex Comandante di Prima Linea, dissociato in aperta polemica con gli esuli, considera, come Filippo Facci, 'verità' i testi dei romanzi di Battisti).
In Italia, ogni caso di estradizione dall'estero di vecchi militanti della sinistra armata è stato regolarmente, e per tre decine d'anni, gestito da questo o quel ministro come occasione contingente di farsi pubblicità, di ridorarsi l'immagine proclamando una vittoria della giustizia: per dimenticarsene immediatamente quando poi l'estradizione richiesta era respinta.
Una 'linea politica' in questa materia, forse proprio perché implica una rielaborazione del 'passato che non passa', non sembra essere mai esistita. Né probabilmente si può dire che il caso Battisti segni una svolta in questo senso, malgrado le dimensioni che ha assunto. La svolta, se v'è stata, è quella vantata come 'pragmatismo post-ideologico' con le procedure di estradizione dalla Francia dello stesso Battisti, di Paolo Persichetti e di Marina Petrella, e corrisponde al modo di un puro atto di potere. Di quelli volontaristici, che non sentono ragioni. Una sovranità cieca, che non esita a mobilitare il furor di popolo gridando 'mettiamoli dentro e buttiamo le chiavi', marchia malamente e degrada la cultura degli italiani.
Essere amici del terrorista è allora una cosa sana.
---
Post sul tema (il più recente in fondo):
Cesare Battisti accolto in Brasile
Informazione e comunicazione nel caso Battisti
Il fantasma di Copacabana colpisce ancora
L'intervista a Cesare Battisti
Tutti pazzi per Battisti?
Materiali sul caso Battisti
Lula stopper, Battisti libero?
Gli amici del terrorista
Solo per dirti grazie per il tuo lavoro. Per favore non smettere di bloggare con questa tua lentezza e spessore. Veri ipertesti di Storia Odierna.
RispondiEliminaCon sincera e sana invidia,
ryceciclo@gmail.com